Glioblastoma: una speranza dal vaccino autologo con cellule dendritiche

Trattati i primi tre pazienti. La sperimentazione clinica è frutto della collaborazione tra IRST “Dino Amadori” IRCCS e Ausl Romagna.

Nuove, promettenti prospettive terapeutiche per i vaccini con cellule dendritiche autologhe, metodica oncologica sperimentale che da sempre vede nell’IRST “Dino Amadori” IRCCS uno tra i centri di riferimento in Italia. Poche settimane fa, infatti, è stato trattato il primo paziente affetto da glioblastoma – un tipo di tumore cerebrale particolarmente aggressivo contro cui, ad oggi, non esistono chance terapeutiche efficaci – arruolato nello studio clinico denominato “Vaccinazione con cellule dendritiche autologhe caricate con omogenato tumorale autologo nei glioblastomi alto grado”.

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Lo studio è stato promosso dalla Struttura di Oncologia clinica e sperimentale Immunoterapia, Tumori Rari e Centro Risorse Biologiche dell’IRST in stretta collaborazione con il Gruppo Multidisciplinare Neuro-oncologico della Romagna e, in particolare, con la Unità Operativa di Neurochirurgia dell’AUSL Romagna, sede Cesena. Il primo paziente è stato un uomo di 54 anni, in buone condizioni generali, che ha ottimamente tollerato il trattamento e non ha mostrato eventi avversi né immediati né ritardati. Nel frattempo sono già iniziate le induzioni con vaccino in altri due pazienti, due donne, che hanno recentemente accettato di aderire alla sperimentazione.

Totalmente costruite sul materiale cellulare del paziente – per questo sono definiti trattamenti autologhi –, le terapie basate su vaccinoterapia con cellule dendritiche sfruttano la straordinaria capacità di queste cellule non solo di assorbire le proteine anomale (antigeniche) del tumore, ma di esporle sulla propria superficie. Un’azione di “segnalazione” che istruisce il sistema immunitario a riconoscere e aggredire i nemici dell’organismo.

Ricavate dal sangue del paziente, dopo coltura in vitro ed esposizione agli antigeni tumorali, le cellule dendritiche sono ri-somministrate al paziente attraverso una semplice iniezione intradermica. Una volta introdotte nel corpo, queste raggiungono i linfonodi distrettuali dove “insegnano” ai linfociti come riconoscere gli antigeni del tumore e a innescare i meccanismi immunitari contro le cellule maligne.

Il protocollo, approvato dall’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa) e dal Comitato Etico della Romagna (Cerom) è attualmente l’unico del genere attivo in Italia e si prefigge l’obiettivo di valutare se e quanto il trattamento con cellule dendritiche autologhe possa bloccare la progressione di quello che è il tumore cerebrale primitivo più frequente negli adulti fra i 55 e i 75 anni (con incidenza globale di circa 3-4 casi su 100.000 persone) e che, purtroppo, presenta una bassissima percentuale di sopravvivenza: appena il 5% a cinque anni dalla diagnosi. Il trattamento con vaccino si affianca a quello standard che prevede la resezione chirurgica seguita da chemioradioterapia e da chemio adiuvante.

Ben definito e totalmente sicuro per il paziente è il percorso che accompagna il paziente dalla diagnosi alla prima infusione del vaccino. Il punto di partenza è l’ospedale “Bufalini” di Cesena, dove il paziente viene sottoposto a rimozione del glioblastoma: un atto chirurgico estremamente delicato e complesso, possibile grazie alla consolidata esperienza del centro e alla rinomata professionalità dall’equipe diretta dal dottor Luigino Tosatto, direttore del Dipartimento di Neuroscienze, della Neurochirurgia di Cesena e del Programma aziendale di neuroscienze dell’Ausl Romagna.

Dopo aver rimosso il tessuto tumorale e verificata l’idoneità all’inclusione nello studio clinico, su base esclusivamente volontaria, il paziente è sottoposto, presso il Centro Trasfusionale dell’ospedale “Morgagni” di Forlì

, diretto dal dottor Rino Biguzzi, ad un’aferesi, una procedura che permette di raccogliere le cellule mononucleate del sangue.

Il campione di cellule raccolte è, quindi, inviato alla Cell Factory del Laboratorio di Terapia cellulare somatica IRST IRCCS (responsabile: dottor Massimiliano Petrini) per la differenziazione e la produzione di cellule dendritiche pulsate con antigeni tumorali (anch’essi ottenuti dal tessuto del paziente stesso) così da renderle capaci di attivare la risposta immunitaria contro il tumore.

Il complesso sistema produttivo e i test di controllo qualità sono eseguiti da personale altamente specializzato per la produzione ed il controllo di qualità. Fondamentali sono anche gli studi di monitoraggio immunologico affidati alla dott.ssa Jenny Bulgarelli. In parallelo, dopo aver effettuato l’aferesi, il paziente riceverà il trattamento standard di radiochemioterapia.

Completato il ciclo in un periodo di 4/6 settimane, al paziente sarà quindi somministrata la prima iniezione di vaccino a cellule dendritiche, intersecato con la terapia di mantenimento. Seguiranno infusioni secondo lo schema di una dose a settimana per un mese, poi una dose al mese per 6-12 mesi.

Spiaega la dottoressa Laura Ridolfi, oncologa della Struttura di Oncologia clinica e sperimentale Immunoterapia, Tumori rari e CRB, e Principal Investigator dello studio: “Oltre all’obiettivo primario di prolungare il tempo libero da progressione del tumore e la sopravvivenza del paziente, valuteremo anche la sicurezza della terapia e la sua tossicità. Su questo punto abbiamo già risultati positivi da studi attivi IRST con vaccino a cellule dendritiche su altre patologie tumorali. Dal 2001, infatti, il nostro Istituto ha trattato più di 80 pazienti con melanoma metastatico con questo trattamento sperimentale, ottenendo un clinical benefit – ovvero una risposta o stabilizzazione di malattia – del 54.1% con un profilo di tossicità ottimale. Sia nel nostro sia in lavori analoghi, si è appurato che i pazienti che sviluppano una risposta immunitaria dopo la vaccinazione hanno miglior riuscita nelle terapie. Lo studio avrà una durata di 36 mesi, si stima di coinvolgere circa 6-8 pazienti all’anno e di poter fornire i primi risultati scientifici già dopo il primo anno”.

“Lo studio rappresenta l’esempio perfetto delle enormi potenzialità racchiuse nella cooperazione tra strutture, in quel Comprehensive Cancer Care and Research Network romagnolo prospettato dal professor Dino Amadori – commenta il professor Giovanni Martinelli, direttore scientifico IRST IRCCS –. Una grande rete clinico-assistenziale tra IRST IRCCS e Ausl Romagna per garantire tempestività nelle diagnosi e nei trattamenti e per mettere a valore la ricerca organizzativa e clinica”.

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