Infermieri

Fabiana una infermiera determinata a tornare: “Cara Italia, io credo in te, non mi deludere”

L'infermiere italiano continua a lasciare la propria terra in cerca di fortuna all'estero.  I paesi che offrono maggiori opportunità sono la Germania e il Regno Unito

L’infermiere italiano continua a lasciare la propria terra in cerca di fortuna all’estero.  I paesi che offrono maggiori opportunità sono la Germania e il Regno Unito

Gli infermieri italiani sono attratti dall’esperienza lavorativa nel Regno Unito, in quanto sono garantiti stipendi più alti rispetto ai nostri con la possibilità di conseguire una carriera professionale di tutto rispetto.

In Italia mancano quasi 60 mila infermieri negli ospedali pubblici (fonte Ipasvi), ma purtroppo ci sono 25 mila infermieri disoccupati.

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Fabiana è una giovanissima collega infermiera di 22 anni, che ha fatto ritorno in Italia, dopo una breve esperienza nel Regno Unito.

E’ un caso eccezionale, solitamente, gli infermieri trovano la loro dimensione sia di tipo professionale che personale; e questo suo ritorno ci ha incuriosito.

Le abbiamo chiesto di raccontarci la sua esperienza. Fabiana inizia la sua storia rivolgendosi alla sua patria:

“Cara Italia,

La mia storia inizia a Settembre, prima ancora di conseguire la laurea, quando entrai in contatto con un reclutatore su Facebook. Sono diverse infatti le persone che tramite agenzia sono collegate agli ospedali inglesi, i quali le finanziano nella speranza di avere personale qualificato e competente nei loro reparti. Perché per quanto possa sembrare imbarazzante, il nostro sistema universitario ci prepara in modo soddisfacente e completo.

Quando trovi un Italiano in un ospedale inglese, lo riconosci. Utilizzando Facebook è stato possibile creare i contatti e passare le informazioni necessarie per superare il colloquio face-to-face che ho tenuto a Pisa.

La mia però è un’eccezione, difatti molti ospedali si accontentano di semplici interview su Skype. Ad ottobre, dunque, avevo già un contratto a tempo indeterminato in mano per lavorare in un ospedale a 30 minuti da Londra, ancor prima di laurearmi.

Conseguita la laurea, non ho guardato né cercato un lavoro qui a casa mia poiché prevaleva la voglia di esplorare un nuovo mondo, una nuova lingua, confrontarmi con esperienze e ostacoli sconosciuti. Mettermi alla prova. In parole povere, avevo voglia di Crescere.

A fine Febbraio, con i miei 22 anni e il mio coraggio, perché ce ne vuole parecchio, ho preso il volo e ho iniziato questa avventura in terra inglese.

L’ospedale era molto organizzato, fece in modo che l’impatto con la nuova realtà non fosse troppo brusco e mise a disposizione rimborsi per il viaggio, mezzi per raggiungere la città dall’aereoporto, alloggi dove fermarsi per un periodo da te definito dove era possibile incontrare e conoscere altre persone, spesso infermieri come te. Venne data anche la possibilità di usufruire di soldi per pagare i primi mesi e il deposito della casa in cui si viveva.

Fabiana Cassano, giovane infermiera italiana.

Inizialmente ho intrapreso due settimane di Induction prima di cominciare a lavorare, durante le quali venivano spiegati una serie di argomenti e venivano date informazioni su come si lavorava da loro, con quali figure, con quali strumenti o scale di valutazione.

Diversi furono i corsi dal Blsd, alla mobilizzazione del paziente, interessante anche il corso su come gestire situazioni di incendio. La Formazione in Inghilterra è prioritaria.

Viene somministrata formazione prima che un professionista possa agire autonomamente.

Dopo questi 14 giorni, mi  sono immersa completamente nella realtà lavorativa.

Ora, la mia storia è un po’ particolare, in quanto chiesi di cominciare in un reparto perché mi sarebbe piaciuto mantenere il contatto con il paziente.

Però mi venne assegnata la sala operatoria. Dopo un mese e mezzo inoltrai la richiesta per essere spostata in un reparto come da richiesta iniziale.

Mi conosco e so quanto abbia bisogno di un ambiente dinamico per sentirmi realizzata.

Senza alcun problema, in meno di una settimana, venni trasferita. E così mi ritrovai a lavorare nella Stroke Unite, con altri colleghi, altre regole, protocolli e strumentazioni. 

I turni erano diversi: i contratti sono da 37.5 ore di lavoro settimanali, si fanno i cosidetti ‘long Day’, turni da 12 ore e mezza.

Per quanto possa essere massacrante, ciò ti permette di avere 4 giorni liberi su 7 e di organizzarti come meglio preferisci. I menagers sono disponibili e spesso approvano le preferenze fatte dal personale sul mese di lavoro.

Questo permette così la possibilità di autogestirsi turni e vita.

Non ho mai lavorato quì in Italia, ma durante il mio tirocinio mi è stato possibile osservare e capire diverse cose. La gestione e l’organizzazione in Uk è ben diversa dalla nostra ed è per certi versi migliore, per altri peggiore.

In Uk, l’infermiere si occupa davvero di quello che studia sui libri; organizza e gestisce tutto quello che vi è intorno al paziente: dall’ammissione, alla dimissione a casa o in una casa di cura/centro riabilitativo.

L’infermiere non si preoccupa d’igiene personale o servire il vitto perché esistono figure di supporto dedicate.

L’infermiere aiuta nel momento in cui gli è possibile farlo; ma sono altre le priorità che 

gestisce intorno al paziente.

L’aspetto negativo di questo è che ci sono tantissime carte da compilare e spesso il contatto con il paziente viene meno; limitato al giro della terapia o alla presa dei parametri vitali. Spesso gli OSS conoscono il paziente meglio degli infermieri, che su un reparto di 23/24 degenti, se ne vede assegnati massimo 8.

Per quanto mi riguarda, ero partita sapendo di avere una laurea in mano e di non poterla sfruttare del tutto in Uk. Purtroppo da qualche anno a questa parte le regole sono cambiate.

L’NMC (l’albo inglese) ha imposto per i cittadini Ue il superamento di un esame chiamato IELTS, prima di essere riconosciuti come infermieri sul suolo inglese.

L’esame è particolarmente difficile, poiché viene richiesto il livello accademico e il superamento di tutte e 4 le sezioni che lo compongono (listening, reading, writing and speaking) con uno score minimo di 7.

Gli stessi inglesi ammettevano di avere difficoltà nel superarlo. Questo esame blocca un po’ tutto il sistema salute, sia gli ospedali che finiscono per non avere gli infermieri richiesti, sia noi infermieri stranieri inquadrati come OSS finchè non superiamo la prova.

Per mia fortuna, l’ospedale mi dava la possibilità di lavorare qualche giorno al mese come infermiera supervisory (un tirocinio, affiancata da un altro infermiere). Mi ritengo fortunata perché in altri reparti non concedono questa possibilità e il lavoro risulta essere davvero frustrante.

L’ospedale, ad ogni modo, permetteva di seguire corsi di inglese studiati per superare l’IELTS; ma essendo ancora in fase di sperimentazione, le ore eseguite erano insufficienti rispetto alla preparazione richiesta per superarlo.

Superati i sei mesi, dopo diverse considerazioni ho deciso di tornare.

Spero di non pentirmene, cara Italia. Ho seguito il cuore, devo essere sincera.

Non sono tornata con un contratto di lavoro in mano e molti mi hanno dato della “folle”, ma sono tante le cose che ho capito in questo lasso di tempo.

Sì, consiglierei questa esperienza a tutti coloro che non hanno nulla da perdere e che sono disposti a mettersi in gioco.

Vogliosi di capire ogni singolo lato del proprio carattere perché è nei momenti in cui bisogna farcela totalmente da soli che scopriamo le nostre potenzialità.

Sì, consiglierei questa esperienza a chi ha voglia di lasciarti, Italia, e di non tornare più, a chi non ha legami, a chi ha voglia di crescere professionalmente e a chi è stanco di vedere cose che non vanno e raccomandati andare avanti.

In Inghilterra si accede per meritocrazia e quanto più sei capace, tanto più vai avanti.

Non consiglierei questa avventura a chi è ancorato alla propria terra, ai propri amici, al proprio cibo.

Quando si è lontani ci si rende conto di cosa si lascia e di quanto anche le piccole cose che ritenevamo insignificanti, avessero un grandissimo effetto sul nostro umore e sulla nostra vita.

Ti accorgi piano che ti mancano i pranzi con la famiglia la domenica, la parmigiana della nonna, il traffico e il caos nelle strade, il dialetto parlato dagli anziani nei vicoli della città, il calore e i sorrisi delle persone quando le incontri, il caldo e l’estate.

Così come ti inizia a mancare la gioia di vivere, quel senso di godere a pieno delle cose quando le stai facendo.

Perché in Italia Lavoriamo per vivere e non viviamo per lavorare come invece fanno gli inglesi. Quando qualcuno ti lascia, Italia, si accorge delle ricchezze che ha e che spesso sottovaluta. Capisce l’importanza di aprire la finestra e trovare il sole.. e sentirsi improvvisamente e inspiegabilmente Felice.

Ma ripeto, è un’esperienza da vivere, ti aiuta a capire e a conoscere i tuoi punti di forza e i tuoi limiti.

Dopo sei mesi sono quì, di nuovo nella mia terra e sento dentro di me una determinazione ed una voglia di lottare che prima non sentivo.

Lottare per ciò che sono, forse ‘una semplice infermiera’ come molti dicono, ma io amo esserlo. Io amo entrare in un reparto, incontrare anime, sorrisi, raccogliere dolore e distribuire ottimismo a persone che forse hanno toccato il fondo ma cercano di risalire.

Ci sono storie difficili da raccontare e difficili da capire ma io sono felice se per un breve periodo, ne entro e ne faccio parte.

Cara Italia, io ci credo in te, non mi deludere.”

Fabiana Cassano.

 

L’Italia non deve deludere questa giovane collega, deve incentivare il ritorno di quei professionisti formati e lasciati partire, tornando ad investire in un settore da anni colpito solo da tagli al personale.

L’infermiere deve avere la possibilità di sviluppare una carriera professionale e uno stipendio adeguato.

Molinari Francesco

Redazione Nurse Times

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