P.C., infermiere, è stato assolto con formula piena dall’accusa di imperizia in merito alla morte di una paziente ricoverata in terapia intensiva per Covid-19. La decisione è stata pronunciata ieri dal giudice Tommaso Pistone, che ha ritenuto che il fatto non sussistesse, confermando la richiesta di assoluzione presentata anche dalla Procura.
L’episodio risale al 3 novembre 2020, nel pieno dell’emergenza sanitaria, presso il reparto G8 Covid-19 dell’ospedale San Salvatore dell’Aquila. La paziente, ricoverata per complicanze da Coronavirus, ha subito un improvviso peggioramento delle condizioni. P.C., presente nella stanza, ha prontamente attivato l’allarme per chiamare i medici, seguendo i protocolli previsti. Tuttavia, a causa delle misure di sicurezza e della tuta protettiva anti-Covid, le comunicazioni verbali erano difficoltose, e l’infermiere è uscito dalla stanza chiudendo la porta, come richiesto dalle procedure.
Purtroppo, la porta non si è più riaperta a causa di un guasto, rendendo difficile l’accesso al personale medico. Un medico presente ha dovuto rimuovere la tuta protettiva per tentare di forzare la porta, ma il tempo necessario per l’apertura si è rivelato fatale per la paziente. Il tecnico, prontamente chiamato, è intervenuto poco dopo, ma i minuti critici erano ormai trascorsi.
L’assoluzione di P.C. arriva dopo un lungo processo, durante il quale è emerso che la sua condotta è stata conforme ai protocolli di sicurezza. L’avvocato difensore, Scelli, ha ribadito che l’infermiere aveva fatto tutto il possibile in quella circostanza, considerando i limiti imposti dall’uso delle tute protettive e i protocolli ospedalieri.
Le parti civili, rappresentate dall’avvocato Carlotta Ludovici, avevano richiesto un risarcimento di circa 700mila euro, che è stato respinto con la sentenza di assoluzione.
Questa sentenza solleva importanti interrogativi sulla gestione delle emergenze in ospedale durante la pandemia e sui limiti imposti dalle misure di sicurezza. Il caso sottolinea la necessità di protocolli efficaci che garantiscano non solo la protezione dal contagio, ma anche l’accesso rapido ai pazienti in situazioni critiche.
L’assoluzione dell’infermiere rappresenta un riconoscimento al loro lavoro, spesso costretti a operare in condizioni difficili e sotto pressione. Il giudice ha stabilito che il decesso della paziente non è stato causato da errori dell’infermiere, ma da un tragico concatenarsi di eventi, su cui le responsabilità non possono essere attribuite a chi ha seguito le procedure previste.
Redazione Nurse Times
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