Categorie: Normative

Documentare bene? Conviene sempre

Quando si conclude un evento ECM, nel 99% dei casi si effettua un questionario come metodo di valutazione, quale test finale previsto espressamente dalla Legge 229 del 1999, la norma che ha varato il sistema di “Educazione Continua in Medicina’’ italiano.

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I provider nazionali possono scegliere fra ben sei diversi metodi di valutazione: oltre al questionario – infatti – esiste un possibile test orale; uno a prova scritta; uno basato su una sorta di prova pratica (è il classico caso dei corsi BLSD e simili); uno che riprende il questionario, ma lo fa svolgere on line; e infine la…autodichiarazione dei partecipanti.

Così come quest’ultima (ammesso che sia mai stata usata) dovrebbe certamente incontrare un grande apprezzamento da parte dei discenti, la prova col questionario – ormai entrata nell’immaginario collettivo dei discenti e dei progettisti degli eventi – non disturba nessuno e si protrae a fine lavori, soprattutto quando l’evento ha un bel numero di crediti: per ogni credito – infatti – vanno previste tre domande (con le loro risposte).

In breve: non mi è mai capitato, nella mia esperienza di docente a questi eventi, di sentire qualcuno lamentare la effettuazione del test con tale modalità.

Ma quando l’evento prevede una valutazione “a prova scritta’’, nella quale il partecipante deve descrivere le criticità degli argomenti affrontati, presentando una sorta di “sintesi’’ del corso, usando parole e pensieri tutti suoi, non manca mai chi, incredulo, chiede esattamente di capire bene perché non c’è il questionario, e soprattutto che cosa dovrà scrivere in questa ‘’breve’’ relazione finale.

Non intendo né generalizzare, né esprimere alcun giudizio su Colleghi o altri partecipanti a questi eventi, ma ho sempre abbinato queste perplessità, e questo palese “dispiacere’’ alla modalità prevista (e offerta da Agenas al passaggio numero 19 del format di accreditamento evento) alle altrettanto non sempre perfette competenze sul versante della documentazione professionale.

Conosco Colleghi che scrivono benissimo tutto, libri e storie e articoli inclusi, anche non professionali.

Ma vi sono anche Colleghi che, per forma mentale e spesso perfino per non conoscenza del rischio, non curano l’aspetto della documentazione professionale.

Sono del tutto consapevole che i carichi di lavoro attuali sono in crescita esponenziale: quindi l’Infermiere tende a non trascurare l’assistenza diretta e le dirette responsabilità più urgenti, come la somministrazione dei farmaci, risparmiando tempo su altre questioni e attività, ritenute a volte meno impellenti.

Ma la documentazione non dovrebbe mai essere penalizzata; da professionista, se mi trovo a dover scegliere come trascorrere trenta minuti fra le due opzioni: una, la visita routinaria con il Medico di reparto o, in alternativa obbligata per carenza di tempo, la stesura delle mie consegne o scheda o cartella informatizzata non avrei dubbio alcuno, scegliendo la seconda.

Anche perché se non scrivo qualcosa che può essere importante ne rispondo io, che sono il responsabile dell’assistenza generale infermieristica (DM 739/1994, art 1).

Certamente, vale lo stesso principio di sempre: ma quando vengo accusato di non aver ben trasmesso le mie consegne, il mio report di attività; le indicazioni al turno successivo?

Ovviamente solo quando si crea il problema: ben difficilmente, infatti, se il nostro assistito giunge al traguardo della dimissione senza problemi particolari si cerca, anche fra la documentazione, di comprendere gli avvenimenti occorsi nel percorso di cura e assistenza.

Senza trasformare l’articolo in una lezioncina sulle norme, è bene ricordare che dal 28 novembre del 1990 (con i contenuti del DPR 384) la documentazione infermieristica è parte della cartella clinica.

Che pur in mancanza di precise indicazioni normative su ciò che dovrebbe contenere o trasmettere una documentazione professionale infermieristica, è bene ricordare che tutto ciò che di importante ha riguardato il nostro malato va riportato; e altrettanto è importante riportare le indicazioni precise per i Colleghi che ci sostituiranno.

Che se viene sequestrato ai fini di indagine il materiale cartaceo o informatico relativo a un percorso ospedaliero (o in strutture sanitarie) viene prelevato anche il materiale delle professioni sanitarie tutte (con quella infermieristica fra le più produttive, comunque).

Al riguardo, una sentenza interessante del TAR del Trentino Alto Adige (la 75/2005) spiega che sono almeno cinque gli elementi costitutivi della documentazione di nostra competenza:

a) raccolta dati anamnestici

b) pianificazione degli interventi

c) diario infermieristico

d) schede terapia – dati esami e parametri vitali

e) valutazione dell’assistenza prestata.

Credo di poter dire che spesso i due punti meno sostenuti nella nostra documentazione siano il b) e l’ultimo, l’e), in particolare ove esiste un modello assistenziale ‘”per compiti e giri’’.

Le documentazioni professionali corrette favoriscono la buona comunicazione: la comunicazione interrotta, sbagliata, incompleta e assente è fra le primissime cause di malpractice sanitaria nel mondo.

Comunicare bene e con gli altri componenti l’equipe è anche un richiamo di un articolo del codice deontologico del 2009 dell’Infermiere (articolo 27) e di almeno due di quello dei Fisioterapisti, più recente (gli articoli 8 e 40.)

E’ un “atto di fede’’ e ciò significa che fino a prova contraria ciò che è stato scritto diventa una dichiarazione importante su quanto avvenuto; fino al punto che – in più sentenze – ritorna un concetto molto particolare, che è l’esatto opposto: “…ciò che non è stato scritto, non è stato fatto…’’ (cfr sentenza del Tribunale di Monza del 4/11/2005 in merito a un incidente in sala operatoria: “…nella cartella clinica non viene riportato il conteggio delle garze…anzi detto documento non reca alcuna indicazione al riguardo. Il che equivale ad affermare, al contrario, che le garze non vennero contate..’’ ).

E’ insomma facile comprendere il grande valore del saper documentare; del sapere farlo bene, e del trovare il tempo necessario per farlo al meglio, nonostante oggi sia sempre meno semplice “avere il tempo che serve’’.

Due casi toscani, noti a chi si occupa di aspetti di infermieristica forense e non solo a questi, spiegano la bontà del documentare bene e le criticità comprese (almeno potenzialmente) nel non farlo.

Con sentenza del 14/12/1996 la Corte di Assise di Firenze respingeva il ricorso di due Medici, condannati per non aver indicato in cartella clinica la presenza di importante lesione da decubito, in una signora trasferita da un ospedale cittadino, dove essi prestavano servizio, ad una struttura RSA.

In quello stesso periodo (gli esempi toccano lo stesso periodo storico volutamente) con disposto n° 893/1994 la Pretura fiorentina spiegava che non vi era alcun motivo di aprire una indagine su un caso di malasanità presunta, poiché….’’…il fatto venne ricostruito dalla cartella clinica che,  fortemente lacunosa nella parte di competenza medica, è ben compilata nelle indicazioni del personale infermieristico, puntuale e ampiamente attendibile secondo il parere dello stesso Consulente Tecnico del PM…’’.

Cosa suggerire dunque ai Colleghi?

Scrivere è una delle più belle espressioni dell’anima, e anche dell’arte, senza per questo invitare tutti alla frequentazione di corsi dedicati, il caldo invito è quello di ricordare che anche – e forse soprattutto – dopo un turno di servizio con risvolti difficili, pesanti, faticosi, il tempo di scrivere va trovato e va trovato nell’interesse di tutte le parti in causa: del malato, dei familiari, dei componenti l’intero team: dunque anche dell’Infermiere.

Grazie della cortese pazienza se mi avete letto fin qua. Un caro, grande saluto.

Francesco Falli

Infermiere legale  e forense.

Redazione Nurse Times

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