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Dengue, nuovo inibitore può cambiare le prospettive di cura

Un composto antivirale in via di sperimentazione si è dimostrato efficace nel bloccare il meccanismo di sviluppo del virus trasmesso da una zanzara.

Dopo l’approvazione dell’Oms del primo vaccino contro la malaria, un’altra buona notizia arriva dal fronte dengue: un promettente composto antivirale si è dimostrato efficace nel bloccare il meccanismo di sviluppo del virus, che colpisce ogni anno 96 milioni di persone. E’ ancora presto parlare di un farmaco a uso umano, ma la direzione è quella giusta.

La febbre dengue è causata da quattro virus molto simili fra loro e si trasmette per mezzo delle zanzare che, a loro volta, hanno punto una persona infetta: un contagio indiretto, per cui ad oggi non esiste una cura specifica o farmaco per la prevenzione. Nell’arco di cinque-sei giorni dalla puntura, la malattia può progredire in forma asintomatica o manifestarsi con febbre molto alta accompagnata da mal di testa acuti, dolori attorno e dietro agli occhi, forti dolori muscolari e alle articolazioni, nausea e vomito, irritazioni della pelle che possono apparire sulla maggior parte del corpo, con un tasso di mortalità che può superare il 20%. E il paracetamolo è una delle poche armi che sinora abbiamo per trattarla.

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Una speranza per i 110 Paesi in cui la malattia è tutt’oggi endemica arriva dalla Katholieke Universiteit Leuven, in Belgio, dove i ricercatori hanno scoperto un nuovo meccanismo di azione dei virus e testato con successo un inibitore su colture cellulari umane, con un profilo di sicurezza per il momento testato solo su topi e ratti. La scoperta, appena pubblicata su Nature, arriva dal team guidato dal virologo Johan Neyts, che ha svolto un’indagine su larga scala per identificare i composti che inibiscono i virus della dengue.

Il più promettente – altamente efficace contro tutte le varianti genetiche dei quattro sierotipi conosciuti, inclusi 21 diversi ceppi virali isolati da individui infetti – è stato ottimizzato in un composto, chiamato JNJ-A07, testato in vivo. La sperimentazione ha così dimostrando la netta riduzione della carica virale nei topi, a cui è stato somministrato per via orale, sia come forma di prevenzione che come trattamento post-infezione.

Il mix di molecole è in grado di interferire con la replicazione del virus, bloccando le proteine virali e rivelando un meccanismo di azione completamente nuovo: “Sebbene JNJ-A07 non sia il primo inibitore della dengue ad essere scoperto, è uno dei più promettenti perché, oltre a bloccare la replicazione nel sangue, rende il virus incapace di replicarsi anche nelle zanzare, creando così un vicolo cieco”, hanno scritto i ricercatori. Insomma, una cura potrebbe essere vicina.

Nell’unica sperimentazione sinora svolta il gruppo di ricerca ha infettato topi immunodepressi con quantità altamente letali di dengue e appurato che JNJ-A07 era efficace come antivirale: ha rapidamente diminuito i livelli di virus nel sangue e ridotto la produzione delle citochine, i segnali molecolari infiammatori che contribuiscono alla malattia grave, proprio come nel Covid, salvando la vita delle cavie. E si è mostrato ugualmente efficace sia se somministrato preventivamente che a scopo terapeutico, da quattro a cinque giorni dopo l’infezione.

“Abbiamo dimostrato – hanno scritto ancora i ricercatori – che bloccare l’interazione tra due proteine virali si traduce in un forte attività antivirale. E questa interazione rappresenta un obiettivo promettente per lo sviluppo di inibitori ad alta efficacia”. Esiste un vaccino, il Dengvaxia, sviluppato da Sanofi Pasteur e approvato in circa 20 Paesi, ma secondo l’Oms “si è dimostrato efficace solo in chi ha già avuto una precedente infezione dal virus, mentre comporta un aumento del rischio di dengue grave in coloro che manifestano la loro prima infezione naturale dopo la vaccinazione”, portandolo a raccomandarlo “sono in pazienti con dengue pregressa, a seguito di un test anticorpale, come strategia integrata di prevenzione”.

“Nonostante l’immenso sforzo fatto, nessun trattamento è attualmente disponibile contro questa infezione a Rna che si evolve molto rapidamente e rappresenta un enorme onere per la salute pubblica, con circa 3,9 miliardi di persone a rischio”, ricordano gli infettivologi Scott B. Biering ed Eva Harris dell’Università di Berkeley, California, nell’editoriale di accompagnamento su Nature.

I due esperti hanno definito la scoperta belga “intrigante”, oltre che promettente: “L’efficacia del composto sinora ottenuto giustifica il proseguimento della sperimentazione di JNJ-A07 nei primati non umani e poi sull’uomo”, rappresentando in ogni caso “un importante progresso nel campo della terapia della dengue”. I tempi non sono certi, così come i risultati: la ricerca deve andare avanti, ma sicuramente si tratta di un passo in avanti che cambierà le prospettive di cura.

Redazione Nurse Times

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