Infermiere dell’Emergenza

Dagli albori della defibrillazione alla nascita del DAE: una storia lunga 120 anni

Il defibrillatore automatico esterno, comunemente chiamato DAE, è al giorno d’oggi un dispositivo fondamentale per migliorare le speranze di sopravvivenza dei pazienti che necessitino di manovre rianimatorie, di semplice utilizzo e presente in moltissimi luoghi pubblici.

Ma la storia della defibrillazione risale a moltissimi anni fa: il primo dispositivo assimilabile ad un DAE risale al lontano 1899.

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1899: gli albori della defibrillazione

Le potenzialità di tale stimolazione elettrica vennero scoperte presso l’Università di Ginevra dai fisiologi Jean-Louis Prrvost e Frédéric Batelli. Nel corso delle loro ricerche in tema di fibrillazione ventricolare, avrebbero scoperto la possibilità di indurre tale aritmia cardiaca nei cani da laboratorio, somministrando degli impulsi elettrici direttamente sulla superficie cardiaca dell’animale.

Come gli stessi medici dichiararono, questa fu una scoperta davvero significativa, ma, poiché vennero utilizzato  voltaggi estremamente elevati, il cuore dei cani non risultava essere più in grado di ritornare ad avere un’attività tale da permettere la sopravvivenza dell’animale.

Ciò causò una vera e propria demonizzazione della defibrillazione. Le successive teorie difatti, si concentrarono esclusivamente sugli effetti nocivi della procedura, anziché ricercare quelli potenzialmente positivi e salvavita che tutti conosciamo ai giorni d’oggi.

1933 : un’invenzione per riattivare il cuore

A oltre 30 anni dalle prime sperimentazioni, nel mese di ottobre 1933, venne pubblicato un articolo dal giornale statunitense Popular Mechanics nel quale il Dr. Albert S. Hyman avrebbe presentato un nuovo dispositivo salvavita dal nome Hyman’s Otor.

Il dispositivo era composto da un ago cavo in acciaio attraversato da un filo elettrico isolato che fuoriusciva da un foro presente sull’estremità. Sia l’ago che il filo elettrico erano connessi ai terminali di una lampadina e ad un generatore di corrente. Il meccanismo permetteva di regolare gli impulsi elettrici variando la frequenza in modo da rendere l’Hyman’s Otor utilizzabile sia per trattare i bambini che gli adulti.

Qualora il medico avesse riscontrato un caso di arresto cardiaco, avrebbe dovuto inserire l’ago nel primo spazio intercostale fino a raggiungere l’auricola destra, per poi avviare il generatore alla frequenza desiderata. (Fonte: Modern Mechanix).

Il device è stato sperimentato sugli animali riuscendo a rianimare 14 delle 43 vittime di arresto cardiaco (Science Museum, London).

Nonostante il dispositivo avesse ricevuto il parere positivo della stampa internazionale, il suo utilizzo venne percepito come un’interferenza contro gli eventi naturali, venendo pertanto rifiutato dalla comunità medica.

1947: debuttano le piastre

Nel decennio successivo, ed esattamente nel 1947, apparvero le prime piastre. La prima procedura di defibrillazione con successo sull’uomo è stata documentata dal dr. Claude S. Beck, chirurgo americano che riuscì a riportare in vita un paziente nel 1947.

Si trattò di un adolescente di 14 anni che, dopo essere stato sottoposto a procedura chirurgica, subì un arresto cardiaco in fase di sutura della cute. (Resuscitation Journal).

Grazie ad un utilizzo combinato del massaggio cardiaco interno, somministrazione di farmaci ed uno shock erogato mediante l’utilizzo di “due piastre ricoperte di garza”, il ragazzino è stato rianimato. (Case Western Reserve University).

1950: Zoll sviluppa un pacemaker esterno

Il defibrillatore Zoll, che tutti conoscono oggigiorno, nasce grazie all’intuizione dell’omonimo cardiologo di Harvard. Nel 1952, il dr. Zoll ed un team di medici di Boston applicarono degli elettrodi esterni sul torace di due pazienti in arresto cardiaco riuscendo a rianimarli. Il primo morì dopo soli 20 minuti mentre il secondo sopravvisse per 11 mesi, dopo avere ricevuto una stimolazione cardiaca elettrica per 52 ore consecutive. (New York Times).

1965: Il defibrillatore diventa “portatile”

Nel 1965, Frank Pantridge, professore nordirlandese, inventò il primo defibrillatore portatile. Conosciuto come il padre della medicina d’emergenza, il dispositivo di Pantridge veniva alimentato dalla batteria di un’automobile. Pesando complessivamente 68 chilogrammi, il defibrillatore mobile venne installato a bordo di un’ambulanza, venendo utilizzato per la prima volta nel 1966. (BBC News).

1972: il presidente degli Stati Uniti d’America salvato da un defibrillatore

Nel 1972, il presidente Lyndon Baines Johnson colto da infarto del miocardio acuto a casa della figlia Virginia, venne rianimato grazie ad un defibrillatore portatile.

“Il dr. Richard S. Crampton della University of Virginia Medical School di Charlottesville, si precipitò dal presidente portando con se un’unità di assistenza coronarica” raccontò il politico ai giornalisti.

“Ha enormi potenzialità ed incredibili campi di applicazione. Concettualmente, questo apparecchio dovrebbe essere su ogni aeroplano, treno, pullman ed in ogni stazioni ferroviaria e aeroporto, nel caso qualcuno dovesse improvvisamente collassare. Dovrebbe essere come un estintore; lo appendi al muro ed in caso di necessità spegni l’incendio o tratti una fibrillazione ventricolare.” (New York Times).

2019: A che punto siamo arrivati con lo sviluppo dei defibrillatori

Al giorno d’oggi, i defibrillatori sono così semplici da utilizzare che molti stati ne richiedono il posizionamento nelle scuole, negli stadi, negli aeroporti, nelle palestre, nei casinò e in molti altri luoghi pubblici. I dispositivi portatili sono disponili a costi ridotti anche per l’acquisto da parte di privati cittadini che volessero tenerlo in casa.

Al contrario del dispositivo “portatile” del professor Pantridge, gli attuali DAE pesano poco più di un chilogrammo e sono quasi completamente automatici nel funzionamento.

Simone Gussoni

Dott. Simone Gussoni

Il dott. Simone Gussoni è infermiere esperto in farmacovigilanza ed educazione sanitaria dal 2006. Autore del libro "Il Nursing Narrativo, nuovo approccio al paziente oncologico. Una testimonianza".

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