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Cosa dice la legge in caso di aggressione al personale sanitario

Contesto e approvazione della Legge 113/2020

Nel 2020 l’Italia ha reagito all’allarme sociale delle crescenti aggressioni agli operatori sanitari con l’approvazione della Legge n. 113 del 14 agosto. Questa legislazione, intitolata “Disposizioni in materia di sicurezza per gli esercenti le professioni sanitarie e socio-sanitarie nell’esercizio delle loro funzioni,” ha tentato di affrontare la questione delle aggressioni nei confronti del personale medico; tuttavia, a quasi tre anni dalla sua entrata in vigore, la sfida persiste.

Contesto di emergenza sanitaria e l’allarme sociale

Il contesto nel quale è nata la riforma è costituito dal forte allarme sociale suscitato da alcuni episodi di cronaca che vedono, tutt’oggi (ricordiamo il caso dell’infermiera DI Castellamare aggredita il 3 gennaio 2024 dai parenti di un paziente…) medici e infermieri, specie di pronto soccorso, vittime di aggressioni da parte degli utenti e dei loro congiunti.

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Nella Relazione di Accompagnamento al disegno di legge S-867, poi sfociato nella l. n. 113/2020, si legge che «[i] fattori di rischio responsabili di atti di violenza diretti contro gli esercenti le professioni sanitarie sono numerosi, ma l’elemento peculiare e ricorrente è rappresentato dal rapporto fortemente interattivo e personale che si instaura tra il paziente e il sanitario durante l’erogazione della prestazione sanitaria e che vede spesso coinvolti soggetti, quali il paziente stesso o i familiari, che si trovano in uno stato di vulnerabilità, frustrazione o perdita di controllo, specialmente se sotto l’effetto di alcol o droga».

Dati INAIL e incremento degli infortuni

I dati INAIL danno effettivamente ragione delle preoccupazioni manifestate dal legislatore, fotografando, in ambito sanitario, un incremento degli infortuni sul lavoro dovuti ad aggressioni.

Il numero di casi accertati positivamente in occasione di lavoro e adeguatamente codificati ammonta per il 2022 a oltre 1.600. Il dato è in aumento rispetto al 2021 (un centinaio di casi in più) e ancor di più rispetto al 2020 (circa 1.400 le denunce), anni però di brusca contrazione del fenomeno complici le limitazioni all’accesso alle strutture sanitarie durante l’emergenza da Covid-19 al fine di prevenire la diffusione del virus. Nel quinquennio, il 37% dei casi è concentrato nell’Assistenza sanitaria (ospedali, case di cura, studi, il 33% nei Servizi di assistenza sociale residenziale (case di riposo, strutture di assistenza infermieristica, centri di accoglienza, ecc.) e il 30% nell’Assistenza sociale non residenziale. A essere aggredite soprattutto donne, pari a oltre il 70% degli infortunati, coerentemente alla composizione per genere degli occupati nel settore rilevata dall’Istat.

Non si può non considerare, inoltre, che la legge è stata approvata proprio nel corso dell’emergenza pandemica da Covid-19 e risente in qualche modo del sentimento di gratitudine – largamente diffuso in seno all’opinione pubblica – nei confronti del personale sanitario che, ancor oggi, lavora a pieno ritmo nella cura delle persone contagiate (e non solo). 

Principali disposizioni della Legge 113/2020

Il campo di applicazione della l. 113/2020 è delineato dall’art. 1, che rinvia alle disposizioni contenute nella l. 11 gennaio 2018, n. 3 (c.d. legge Lorenzin) per le definizioni di professioni sanitarie e socio-sanitarie: svolgono professioni sanitarie, come sappiamo, coloro che appartengono agli Ordini «dei medici-chirurghi e degli odontoiatri, dei veterinari, dei farmacisti, dei biologi, dei fisici, dei chimici, delle professioni infermieristiche, della professione di ostetrica e dei tecnici sanitari di radiologia medica e delle professioni sanitarie tecniche, della riabilitazione e della prevenzione» (art. 4, l. n. 3/2018), nonché gli osteopati e chiropratici (art. 7), i chimici e i fisici (art. 8), gli psicologi (art. 9). Svolgono invece professioni socio-sanitarie gli assistenti sociali, i sociologi e gli educatori professionali (art. 5, l. n. 113/2020).

Criticità e Interventi Successivi con il Decreto-Legge n. 34 del 2023

Una delle principali disposizioni della legge 113/2020 riguarda l’inasprimento delle pene per chi commette aggressioni contro operatori sanitari.

Le lesioni inflitte al personale esercente professioni sanitarie o socio-sanitarie sono considerate una circostanza aggravante speciale, portando a reclusioni più severe. Le lesioni gravi possono ora essere punite con una reclusione da quattro a dieci anni, mentre le lesioni gravissime possono comportare pene da otto a sedici anni.

Un elemento significativo è l’inclusione del personale sanitario e sociosanitario tra le aggravanti comuni (art. 61 del codice penale), per i delitti commessi – a danno dei medesimi soggetti – con violenza o minaccia, in presenza della quale i reati di lesioni e percosse sono sempre procedibili d’ufficio

La l. 113/2020 è intervenuta dunque sul regime di procedibilità delle percosse e delle lesioni, disponendo che, qualora ricorra l’aggravante prevista dall’art. 61, n. 11-octies, c.p., le percosse – in deroga alla disciplina ordinaria – siano procedibili d’ufficio (v. art. 581, c. 2, c.p.) e così le lesioni personali, anche quando da esse derivi una malattia di durata non superiore ai venti giorni (v. art. 582, c. 2, c.p.). Il legislatore ha inteso in questo modo garantire che la perseguibilità dei reati aggravati ex art. 61, n. 11-octies, c.p. sia svincolata dal coefficiente di gravità della condotta, nonché dalle valutazioni della vittima circa l’opportunità di querelare.

Affinché sia configurabile la nuova aggravante, le lesioni gravi o gravissime devono essere commesse “a causa o nell’esercizio” dell’attività sanitaria, nel senso della necessaria sussistenza di un nesso funzionale tra la condotta di lesioni e l’attività sanitaria.

Il sistema sanzionatorio è poi completato dalla fattispecie di illecito amministrativo prevista dall’articolo 9 l. 113/2020, che così dispone:

«Salvo che il fatto costituisca reato, chiunque tenga condotte violente, ingiuriose, offensive o moleste nei confronti di personale esercente una professione sanitaria o socio-sanitaria o di chiunque svolga attività ausiliarie di cura, assistenza sanitaria o soccorso funzionali allo svolgimento di dette professioni presso strutture sanitarie e socio-sanitarie pubbliche o private è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 500 a euro 5.000».

Stante l’assenza di qualsivoglia riferimento al nesso funzionale tra condotte di aggressione ed esercizio dell’attività sanitaria, si deve ritenere che l’irrogazione della sanzione dipenda esclusivamente dalla qualifica soggettiva della persona offesa, con la conseguenza che potranno essere sanzionate a titolo di illecito amministrativo anche condotte inerenti soltanto alla sfera privata della vittima. L’intento del legislatore è evidentemente quello di non lasciare impunita alcuna forma di aggressione nei confronti del personale sanitario.

A completare il provvedimento vi è poi l’istituzione della Giornata nazionale di educazione e prevenzione contro la violenza nei confronti degli operatori sanitari e socio-sanitari (art. 8) che si tiene il 12 marzo di ogni anno e dell’Osservatorio nazionale sulla sicurezza degli esercenti le professioni sanitarie e socio-sanitarie (art. 2 l. 113/2020).

Quest’ultimo, istituito presso il Ministero della Salute, avrà il compito di monitorare gli episodi di violenza commessi ai danni del personale medico-sanitario e di promuovere la diffusione di buone prassi e lo svolgimento di corsi di formazione finalizzati alla prevenzione e alla gestione delle situazioni di conflitto e al miglioramento della comunicazione con gli utenti. L’art. 7, rubricato “misure preventive”, stabilisce infine che «[a]l fine di prevenire episodi di aggressione o di violenza, le strutture presso le quali opera il personale di cui all’articolo 1 della presente legge prevedono, nei propri piani per la sicurezza, misure volte a stipulare specifici protocolli operativi con le forze di polizia, per garantire il loro tempestivo intervento».

Alle Amministrazioni pubbliche, anche in coordinamento con gli enti e gli organismi interessati, spetta, in occasione della giornata, organizzare iniziative di comunicazione per promuovere una cultura che condanni ogni forma di violenza nei confronti dei lavoratori della sanità.

Protocolli operativi anti-violenza e aggressione

La Legge 113/2020 impone alle strutture sanitarie di prevedere nei propri piani per la sicurezza misure volte ad inserire specifici protocolli operativi con le forze di polizia (per prevenire episodi di aggressione e di violenza) al fine di garantire interventi tempestivi (art. 7) e fissa, come abbiamo visto, la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 500 a euro 5.000 per chiunque tenga condotte violente, ingiuriose, offensive, ovvero moleste nei confronti di personale esercente una professione sanitaria o socio-sanitaria nonché nei confronti di chiunque svolga attività di cura, assistenza sanitaria o di soccorso presso strutture sanitarie e socio sanitarie pubbliche o private (art. 9).

Nel 2023 il DECRETO-LEGGE 30 marzo 2023, n. 34 inasprisce le pene con una nuova modifica all’articolo 583-quater del codice penale.

A poco più di die anni dall’entrata in vigore della legge 14 agosto 2020, n. 113, recante “Disposizioni in materia di sicurezza per gli esercenti le professioni sanitarie e socio-sanitarie nell’esercizio delle loro funzioni”, il legislatore, con l’art. 16 del d.l. 30 marzo 2023, n. 34 (c.d. decreto bollette), interviene nuovamente per inasprire il quadro sanzionatorio in relazione alle aggressioni ai danni del personale sanitario e socio-sanitario.

La responsabilità dell’azienda

Il datore di lavoro, ai sensi del d.lgs. 81/08, deve valutare tutti i rischi intendendo non solo quelli direttamente connessi agli aspetti produttivi, ma anche quelli che possono avere impatto sulla salute fisica e psichica dei lavoratori, incluso il rischio da aggressioni verbali e fisiche. Tale rischio va gestito non solo da un punto di vista della security, ma deve essere integrato nell’organizzazione più generale della safety, ovvero della salute e sicurezza sul lavoro.

Le aggressioni verbali e fisiche, oltre ad essere un rischio importante per la salute e la sicurezza del singolo lavoratore, possono avere importanti ripercussioni negative su tutta l’organizzazione (congedi di malattia di lunga durata, perdita di motivazione, assenteismo, deterioramento dei rapporti di lavoro, difficoltà di nuove assunzioni, ecc.). È quindi fondamentale che la valutazione del rischio di aggressioni venga inglobata in tutte le scelte strategiche e organizzative dell’azienda, sia quelle che riguardano aspetti strutturali e logistici, sia le modalità lavorative.

Tra i lavoratori maggiormente a rischio, rientrano sicuramente gli esercenti le professioni sanitarie e socio-sanitarie, spesso al centro di episodi anche di notevole gravità, destinatari di specifiche raccomandazioni e interventi legislativi. Già nel 2007 la Raccomandazione n. 8 del Ministero della salute richiamava l’attenzione sugli atti di violenza a danno degli operatori sanitari ospedalieri e territoriali, fornendo indicazioni su come prevenirli, con priorità per le attività considerate a più alto rischio come aree di emergenza, servizi psichiatrici, servizi per le tossicodipendenze, continuità assistenziale, servizi di geriatria.

Nei casi di cui trattasi l’Amministrazione, anche a seguito della L. 113/2020, è tenuta a dimostrare di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno, attivando gli strumenti funzionali a garantire la sicurezza del lavoratore. In caso di prova concreta del danno da parte della vittima, se l’azienda non riesce a dimostrare la propria diligenza, potrebbe essere ritenuta responsabile del danno biologico, morale e professionale (Cass. pen. sentenza 14566 del 2017).

In questo contesto, la responsabilità dell’azienda non può limitarsi alla mera applicazione delle norme di sicurezza previste dalla Legge, ma deve essere integrata da una valutazione specifica dei rischi concreti che l’attività dell’operatore sanitario può comportare. La mancata protezione del lavoratore rappresenta un’implicita ammissione di responsabilità, evidenziando la necessità di un approccio proattivo nella gestione della sicurezza nelle strutture sanitarie.

Conseguentemente a un’attenta analisi dei rischi, devono essere individuate opportune misure, sia preventive che protettive, che vanno da adeguamenti strutturali e tecnologici, a misure organizzative, procedure di monitoraggio e di vigilanza, fino a una formazione specifica del personale per la prevenzione e gestione degli episodi di violenza.

Tra le misure, si possono ad esempio citare: informazione di tutti i dipendenti sulle procedure da attivare in caso di minacce e/o aggressioni, formazione e addestramento finalizzati alla gestione di situazioni difficili, anche con simulazioni e roleplaying attraverso idonee tecniche di comunicazione da mettere in atto in caso di contatto con pazienti o familiari “difficili”, controllo degli accessi, installazione di sistemi di video sorveglianza, aumento del personale nelle fasi più critiche in cui ci possono essere fenomeni di aggressività e violenza, installazione di impianti antintrusione a protezione di chi lavora in solitaria. È infine particolarmente importante che il rischio aggressioni venga discusso nell’ambito della riunione periodica di cui all’art. 35 del d.lgs. n. 81/08, alla quale partecipano tutti gli attori del sistema di prevenzione aziendale, per fare in modo che la problematica venga costantemente monitorata e gestita in maniera collegiale.

Conclusioni

Sebbene la legge 113/2020 rappresenta un passo importante verso la tutela degli operatori sanitari, è evidente che più sforzi sono necessari per affrontare questa emergenza sociale in modo completo. La sicurezza del personale medico dovrebbe essere una priorità assoluta, richiedendo un impegno continuo da parte delle istituzioni, delle aziende e della società nel suo complesso.

Redazione Nurse Times

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