Coronavirus, la nuova sanità riparte dagli infermieri di famiglia

Spinta dall’emergenza, parte la riorganizzazione della rete assistenziale. Previste 9.600 assunzioni.

La sanità punta alla rivoluzione nell’assistenza territoriale. Un disegno ambizioso, ma necessario dopo le cicatrici lasciate dell’emergenza sanitaria da Covid-19. Il Decreto Rilancio affida alle Regioni il compito di riorganizzare e potenziare la rete di sorveglianza e le cure domiciliari mettendo in campo circa 1,26 miliardi di euro. A fare da perno della nuova rete assistenziale, rivolta sia ai pazienti in isolamento domiciliare che a quelli più fragili (o cronici), sarà la nuova figura dell’infermiere di famiglia: sono previste 9.600 nuove unità di personale infermieristico, da arruolare tramite incarichi di lavoro autonomo fino a dicembre e poi a regime, con assunzioni a tempo indeterminato.

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Il reclutamento – In base agli ultimi dati disponibili sono 267.523 gli infermieri assunti presso il Sistema sanitario nazionale, a cui si aggiungono circa 124.550 liberi professionisti, dipendenti da strutture private o da altri enti. Protagonisti in trincea durante l’emergenza sanitaria che ha appena sconvolto l’Italia (12mila i contagiati e 39 le vittime), oggi vengono chiamati a ricoprire un ruolo nuovo, quasi parallelo a quello dei medici di famiglia, fondamentale per supportare le Unità speciali di continuità assitenziale (Usca) nate per “seguire” i pazienti affetti da coronavirus in isolamento a casa e – anche – i servizi di assistenza domiciliare.

La mappa delle assunzioni

La mappa delle assunzioni, elaborata in base al tetto imposto dal decreto di 8 infermieri di famiglia ogni 50mila abitanti, risponde solo in parte al fabbisogno reale della popolazione, secondo la Federazione nazionale delle professioni infermieristiche (Fnopi). «Abbiamo calcolato – afferma Nicola Draoli, componente del comitato centrale della Federazione – che ne servirebbero circa 21mila di infermieri sul territorio, uno ogni 3mila abitanti oppure uno ogni 400 pazienti cronici». Le singole Regioni poi potranno modulare gli incarichi in base alle reali esigenze. «Nei piccoli paesi delle aree interne – aggiunge Draoli – spesso l’infermiere di comunità è già insito nel sistema. Nelle aree metropolitane, invece, bisogna strutturare una nuova rete di assistenza perché oggi esistono diversi servizi non in collegamento tra di loro. Bisogna garantire un punto di riferimento che non può essere solo il medico di base».

La coperta però è corta, ricorda la Federazione. Le graduatorie esistenti sono piene, molti contratti vanno stabilizzati e l’operazione andrà concertata con i sindacati. «Durante l’emergenza – conclude Draoli – abbiamo chiesto ai pensionati di tornare a lavorare, favorito le lauree anticipate e attivato un tavolo con il Miur. Ma la carenza strutturale di infermieri in Italia è emersa con chiarezza»

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Il ruolo delle Usca – La figura dell’infermiere di famiglia verrà attuata per passaggi successivi. Le Regioni dovranno definire un piano, in base al grado di sviluppo della rete territoriale. Queste figure, in carico ai distretti sanitari, dovranno supportare l’attività delle Unità speciali di continuità assistenziale (Usca) istituite con il Dl Cura-Italia (articolo 4-bis) per assitere i pazienti contagiati in isolamento: sono in tutto 1.200 quelle previste sul territorio, ma non tutte le Regioni le hanno attivate. Il ministero della Salute assicura: le Usca sono destinate a rimanere nel tempo, anche oltre l’epidemia da Covid-19. Come si evidenzia nel Dl Rilancio, fanno parte del più ampio progetto di rafforzare la sanità territoriale e la sorveglianza attiva in tutte le Regioni. A questo scopo il decreto stanzia altri 61 milioni di euro per arruolare personale aggiuntivo, apre le Usca anche ai medici specialisti ambulatoriali convenzionati e prevede l’assunzione di 600 assistenti sociali.

Le difficoltà del nuovo modello – Il nuovo modello pensato dal governo presenta comunque alcuni nodi da sciogliere. A evidenziarli è Antonio Gaudioso, segretario generale di Cittadinanzattiva: «È importante la creazione di nuove figure o strumenti, ma bisogna anche investire su quanto già esiste come i medici di famiglia, i pediatri, le farmacie di comunità, adattando l’offerta alle necessità del territorio». Un altro tema è quello della continuità nei fondi: «Bisogna stabilizzare le risorse per evitare che i finanziamenti si esauriscano al 2020. Si potrebbe rimodulare le tasse sul tabacco per assegnare più fondi alle cure domiciliari».

Più anziani curati a domicilio – Un progetto di rilancio dell’assistenza domiciliare integrata, in realtà, nel Dl 34/2020 c’è. Con un investimento di 734 milioni l’anno si punta a passare dall’attuale 4% di assistiti over 65 al 6,7%, ponendosi sopra la media Ocse del 6%, ma ancora lontani al 10,9% della Svezia, al 9,5% della Germania o al 7,1% della Spagna.

Redazione Nurse Times

Fonte: Il Sole 24 Ore

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