Nel seguente comunicato stampa le riflessioni di Antonio De Palma, presidente nazionale del sindacato Nursing Up, sulla carenza di infermieri.
Il più incredibile dei paradossi, il più assurdo e incongruente degli squilibri tra le professioni sanitarie potrebbe aprire la strada, nel prossimo decennio, a un futuro all’insegna delle grandi incertezze per la qualità dei servizi sanitari destinati alla comunità.
Da una parte, infatti, grazie a un’ingiustificata e inspiegabile politica del pressappochismo, si continuano a ignorare, numeri alla mano, i disagi reali e impellenti da sanare, dando priorità, di contro, alla risoluzione di presunte carenze generalizzate, che in realtà generalizzate non sono e che, incredibilmente, rischiano di trasformarsi nel problema opposto.
La nostra non è affatto un’esagerazione, tanto meno una presa di posizione contro la categoria dei medici, con cui di recente abbiamo combattuto fianco a fianco nello sciopero di Roma, condividendo intenti e motivazioni.
Come confermano proprio i principali sindacati dei medici, è pur vero che l’Italia soffre di una carenza di camici bianchi, ma solo limitatamente a determinate specializzazioni. Una carenza a cui si aggiunge l’imminente pensionamento di quasi 109mila camici bianchi tra il 2023 e il 2032.
Tuttavia le nuove leve sono già in formazione: negli anni accademici tra il 2018 e il 2027 (con lauree attese tra il 2023 e il 2032) i posti programmati per il corso di laurea in Medicina e chirurgia sono circa 141mila. Ma una mancata programmazione potrebbe portare a un effetto incredibile: una crescita esponenziale del numero di medici, una “pletora medica” che rischia di essere fuori controllo.
Da anni il nostro sindacato continua a sollecitare, a quanto pare senza successo, la politica sulla necessità di guardare in faccia la realtà. Sembra di essere alle prese con un gioco davvero perverso, ovvero quello continuare di ignorare che nella sanità del nostro Paese a mancare strutturalmente sono la generalità degli infermieri e personale di assistenza, e non i medici!
Tra dieci anni, infatti, mentre i medici potrebbero addirittura essere in sovrannumero, la voragine di infermieri e personale di assistenza potrebbe toccare quota 300mila! E non sono affatto previsioni catastrofiche.
In netta ascesa il calo di iscrizioni per la laurea in Infermieristica. La percentuale negativa supera quello dello scorso anno: -10,5% di calo delle iscrizioni per l’anno accademico 2023-2024. Nei prossimi tre anni rischiamo di perdere il 30-30,5% di operatori sanitari. Siamo passati dalle 25.539 domande dello scorso anno alle attuali 22.870 su 19.860 posti (lo scorso anno i posti erano 19.375 ), così diviso tra le tre aree geografiche: Nord -14,0%, Centro -14,4%, Sud -5,4%.
Oggi, secondo la Corte dei Conti, mancano circa 70mila infermieri. Ma per noi, che abbiamo allargato i nostri riferimenti ai parametri esistenti negli altri Paesi europei sono almeno 175mila. Per far fronte alla nuova Missione Salute del Pnrr, nell’ambito della riorganizzazione dell’assistenza territoriale, gli infermieri di famiglia e comunità necessari, secondo i nuovi standard, sono oltre 20mila (1 ogni 3mila abitanti), a cui si deve aggiungere il resto del personale di assistenza.
Poi ci sarebbero gli infermieri per l’assistenza domiciliare integrata ad anziani e malati terminali, quelli delle case e degli ospedali di comunità, gli infermieri necessari alle nuove terapie intensive e subintensive nate durante la pandemia.
Lasciano in media l’Italia 3mila infermieri ogni anno solo per andare all’estero. Situazione critica soprattutto in Lombardia e Piemonte, dove forte è l’appeal della Svizzera. Inoltre, sul fronte pensionamenti, entro il 2033 saranno 127mila i professionisti dell’assistenza che smetteranno di lavorare. Uscite non compensate da un numero sufficiente di nuove assunzioni e, come detto, da nuovi laureati.
Nel 2023 ci sono state circa 6mila cancellazioni dall’Albo nazionale degli infermieri in Italia, tra professionisti emigrati all’estero e dimissioni dalla sanità pubblica, con passaggi alla libera professione o addirittura con scelte radicali di cambiare vita.
Lo stipendio è praticamente fermo da anni. Senza una concreta e consistente valorizzazione economica dei professionisti sanitari, ex Legge 43/2006, non c’è futuro per la sanità italiana.
Se nel nostro Congresso di Roma abbiamo quantificato, in armonia con altri autorevoli studi sulla materia, la carenza attuale in 175-220mila unità, non è difficile immaginare che tra dieci anni avremo bisogno, in considerazione dei dati allarmanti sopra citati, di almeno 300mila infermieri.
Redazione Nurse Times
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