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Cardiomiopatia aritmogena: verso nuove terapie con l’alterazione dei livelli di calcio

Uno studio del Centro Cardiologico Monzino dimostra per la prima volta che anche le cellule stromali da paziente con cardiomiopatia aritmogena mostrano alterazioni spontanee nei livelli di calcio rispetto alle cellule di un soggetto sano.

I farmaci comunemente usati per modulare il calcio potrebbero essere efficaci nella cura della cardiomiopatia aritmogena (ACM), malattia genetica cardiaca che colpisce soprattutto i giovani e gli atleti. Lo rivela uno studio coordinato dal Centro Cardiologico Monzino e finanziato dalla Fondazione Giacomo Ponzone, recentemente pubblicato sul prestigioso Journal of Translational Medicine.

La cardiomiopatia aritmogena si manifesta con progressiva disfunzione cardiaca e aritmia, cioè irregolarità del ritmo cardiaco, portando nei casi più gravi alla morte improvvisa. È la tragica storia di giovani atleti come Davide Astori, Piermario Morosini o persone meno famose, come Giacomo Ponzone, a cui è intitolata la Fondazione che finanzia questo progetto.

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Ad oggi non esiste una cura per la cardiomiopatia aritmogena, ma solo metodi di “supporto” (come l’impianto nel paziente del defibrillatore), che impediscono alle aritmie di diventare letali. Da qui l’importanza di capire il meccanismo che altera le cellule del cuore “impazzito” per poter intervenire all’origine della patologia.

Il team coordinato dal Laboratorio di Biologia vascolare e Medicina rigenerativa del Centro Cardiologico Monzino e formato da ricercatori di diversi centri, quali l’Università di Pavia, l’Università di Milano-Bicocca e la New York University, si è concentrato sullo studio del disequilibrio del calcio, che è un meccanismo noto di scompenso cardiaco, ad oggi poco correlato alla cardiomiopatia aritmogena.

Una disfunzione nella regolazione del contenuto di calcio nella cellula, dimostrata principalmente in modelli animali, è stata descritta solo come meccanismo che influisce sul rischio aritmico nei cardiomiociti dei cuori malati di cardiomiopatia aritmogena. Il cuore è infatti caratterizzato da due tipi principali di cellule: i cardiomiociti, che adempiono ad un ruolo funzionale, di contrattilità, e le cellule stromali, che superano i cardiomiociti in numero nel cuore e che fungono da “supporto”. I ricercatori hanno analizzato la gestione del calcio nelle cellule stromali, in cui non era ancora noto se questi meccanismi influenzassero il comportamento cellulare nel contesto ACM.

“Il nostro studio dimostra per la prima volta che anche le cellule stromali da paziente con cardiomiopatia aritmogena mostrano alterazioni spontanee nei livelli di calcio rispetto alle cellule di un soggetto sano – spiega Elena Sommariva

, ricercatrice del Monzino e coautrice della pubblicazione -. La deregolazione della normale omeostasi del calcio contribuisce all’aumentata capacità di differenziamento in adipociti (cellule adipose) e miofibroblasti (responsabili della fibrosi) delle cellule stromali cardiache, promuovendo così un rimodellamento anomalo del tessuto cardiaco, caratteristico dei cuori con ACM”.

Prosegue Sommariva: “Da un lato infatti un cuore ‘grasso’, cioè ricco di cellule adipose, non conduce gli stimoli elettrici e dall’altro un cuore ‘fibrotico’ si contrae meno. Il differenziamento anomalo delle stromali ACM era già stato osservato in studi precedenti, ma non ne conoscevamo il meccanismo. Ora abbiamo capito che alla base di questo processo patologico c’è l’alterazione dei livelli di calcio, aprendo la via ad un possibile approccio terapeutico”.

“Con questa ricerca abbiamo fornito una prova di concetto che dei farmaci modulatori del calcio potrebbero essere efficaci contro la cardiomiopatia aritmogena – commenta Angela Serena Maione, ricercatrice del Monzino e prima firmataria del lavoro -. Agendo farmacologicamente sulle proteine che regolano il contenuto di calcio nelle cellule stromali, abbiamo ottenuto una riduzione del differenziamento fibro-adipogenico”.

Sempre Maione: “In particolare, abbiamo dimostrato l’efficacia del farmaco Flecainide, già in uso in clinica per il trattamento delle aritmie (e quindi attivo sui cardiomiociti), sul differenziamento fibro-adipogenico. Complessivamente, i nostri risultati estendono le conoscenze sulla disregolazione del calcio nella cardiomiopatia aritmogena al compartimento cellulare stromale, come meccanismo causativo delle loro alterazioni. Dimostrano inoltre una nuova modalità d’azione della Flecainide su un nuovo bersaglio terapeutico”.

Redazione Nurse Times

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