Infermieri

Zega (Opi Roma): “Si deve guardare alla sostenibilità del sistema sanitario”

Di seguito l’editoriale che Maurizio Zega, presidente di Opi Roma e consigliere nazionale Fnopi, ha firmato per Infermiere Oggi, rivista istituzionale dell’Ordine capitolino.

“La popolazione italiana è una delle più anziane al mondo: quasi il 20% supera i 65 anni di età e, secondo i dati Istat, nel 2050 circa l’8% degli italiani avrà più di 85 anni. Il sistema sanitario italiano, al momento, potrebbe non essere in grado di far fronte a questi cambiamenti, soprattutto con riferimento agli emergenti fabbisogni di personale sanitario. Con particolare riferimento al personale del comparto, la carenza di infermieri aumenta ogni anno a causa dello squilibrio tra i pensionamenti e le nuove assunzioni e della scarsa attrattività del relativo Corso di Laurea”.

Così, nell’atto di indirizzo per il rinnovo contrattuale del triennio 2022-2024 del comitato di settore Regioni-Sanità. Non è una novità, ma è un modesto conforto che questa constatazione provenga da una realtà istituzionale che rappresenta, per la Sanità pubblica, il “datore di lavoro”… L’Ordine non entra nelle tematiche sindacali, ma le implicazioni che emergono da questo documento sono interessanti.

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Questo riconosce, per esempio, l’esistenza di una questione – quella della salute mentale e del benessere psicofisico degli operatori sanitari – come correlata alla necessità di aumentare l’attrattività del Servizio Sanitario Nazionale per i professionisti della salute. E, logicamente, per la sostenibilità dell’intero sistema: alla fine, se a questa problematica non si porrà rimedio, per primi a pagare saranno i pazienti.

Ed è appunto alla sostenibilità del sistema che si deve ora guardare attentamente: quale risposta il sistema sanitario pubblico deve fornire di fronte al rovesciamento della piramide demografica, all’aumento esponenziale dei pazienti cronici polipatologici, al fenomeno della riduzione del numero di professionisti della sanità proprio quando sarebbero tanto più necessari?

Il punto chiave di una risposta efficace alla nuova domanda di salute è la continuità assistenziale: in altri
termini, rovesciare il paradigma sanitario che concentra il suo focus sull’emergenza clinica e abbandona il
cittadino nel mare magnum di un’assistenza territoriale post acuzie carente e difettosa, dov’è ancora più
urgente proprio la presenza della nostra specificità professionale.

Soffermiamoci su questo aspetto: fino a oggi, il decorso delle patologie è stato rappresentato come una linea retta, non prendendo in considerazione elementi fondamentali come la proattività e la presa in carico sul territorio, la supportività delle équipe infermieristiche sul territorio. Ora, è necessario un cambio di visione geometrica, che rappresenti la traiettoria delle patologie lungo una circonferenza.

Questa circonferenza contiene i diversi passaggi fondamentali dell’andamento di una malattia che, come detto, sarà prevalentemente cronica: quindi, la riacutizzazione, la riospedalizzazione, la dimissione, la
riabilitazione, la presa in carico sul territorio e, di nuovo, la riacutizzazione e la riospedalizzazione etc: NON DOBBIAMO DOMANDARCI “SE” ACCADRÀ, MA QUANDO!!!

Da qui, il cambio di visione geometrica, quanto più è proattiva l’assistenza territoriale, tanto più il diametro di questo cerchio si allunga, la circonferenza assume una misura maggiore e i vari passaggi che vi sono posti sopra aumentano di distanza l’uno dall’altro: ciò è indice di una maggiore efficacia della risposta sanitaria dell’appropriata presa in carico sul territorio.

In estrema sintesi, di una maggiore qualità dei servizi offerti al cittadino. Dunque, il paziente, oltre ad aggiungere anni alla vita, aggiunge anche vita agli anni, perché passa più tempo fra una ospedalizzazione e l’altra e fra una riacutizzazione e l’altra.

Insomma, con lo snaturamento della piramide demografica delle società occidentali, e con l’inverno
demografico alle porte, la forma più calzante per descrivere la relazione tra curanti e curati diventa quella
circolare, in un “eterno ritorno” in cui la capacità del sistema sanitario regionale risiede nell’allargare il più
possibile il diametro di quel cerchio, rendendo più lungo l’intervallo tra i vari momenti di fragilità a cui è
inevitabilmente destinato l’individuo polipatologico e cronico.

Nelle pieghe dell’atto di indirizzo si legge, ancora, di valutare la previsione del nuovo profilo di OSS con
“formazione complementare” in assistenza sanitaria, allo scopo evidente, appunto, di far fronte alla carenza di personale sanitario. Anche questa non è una novità: noi abbiamo agito e reagito in ogni sede di fronte ad azzardate iniziative pericolose in primis per la salute dei cittadini. Questi temi l’Ordine li sollecita – come noto – da anni al mondo della politica cui spettano le decisioni.

Chiediamo con forza di confrontarci con le istituzioni, in un raffronto che non è richiamo corporativo, ma
momento indispensabile al fine di definire la risposta migliore che il servizio sanitario pubblico deve fornire di fronte alla nuova domanda di sanità, imposta dall’evidenza epidemiologica. E non è che ce lo stiamo inventando noi, questo ragionamento: da anni, tutti ne parlano, da ultimo anche il fatidico PNRR, “Missione 6”.

Ma nonostante le prese d’atto della situazione da parte delle autorità, di qualcosa che somigli ad una riforma complessiva del sistema, ad una visione generale di riforma del Servizio Sanitario Nazionale non vi sono che poche tracce. Quanto si vuole ancora aspettare?

Redazione Nurse Times

Fonte: Infermiere Oggi

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