Sono circa 12.600 i casi di turmore al fegato diagnosticati in Italia lo scorso anno. Il 90% dei casi è rappresentato dall’epatocarcinoma. Solo il 10% dei pazienti arriva a una diagnosi in fase inziale, solo a loro è riservata l’opzione della chirurgia. Solo un quinto dei pazienti, infatti, è vivo a cinque anni dalla diagnosi.
Adesso, però, questo può cambiare. Uno studio coordinato dall’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano e appena pubblicato sulla rivista scientifica The Lancet Oncology, dimostra che il trapianto di fegato si conferma la terapia più efficace per il carcinoma epatocellulare e ne espande notevolmente le potenziali indicazioni. L’analisi è stata pubblicata sul Corriere della Sera da V. M..
Lo studio ha coinvolto nove Centri Trapianti italiani ed è durato nove anni.
La ricerca rappresenta un esempio virtuoso di collaborazione e di sinergia tra strutture pubbliche, reso possibile anche grazie ai fondi del Programma della Ricerca in Oncologia del Ministero della Salute (è stato ideato e coordinato su base accademica isenza sponsorizzazioni di aziende o enti privati).
“Per la prima volta viene ufficialmente sottolineata la validità del trapianto anche per quelle forme di tumore epatico che per la loro dimensione superano i limiti definiti dai Criteri di Milano, ovvero i parametri utilizzati comunemente in tutto il mondo per selezionare i pazienti candidabili al trapianto, anch’essi elaborati anni fa dal gruppo di chirurghi e oncologi dell’Istituto Nazionale dei Tumori (INT) milanese” spiega Vincenzo Mazzaferro, direttore della Chirurgia generale a indirizzo oncologico 1 (Epato-gastro-pancreatico e Trapianto di Fegato) all’INT, nonchè ideatore e coordinatore dello studio.
“I risultati dimostrano che se le forme più avanzate di tumore vengono “contenute” nella loro estensione per sufficiente tempo e con sufficiente efficacia, il trapianto ottiene risultati analoghi a quelli osservati per le forme più iniziali di tumore.
Lo studio ha coinvolto 74 pazienti tra i 18 e i 65 anni di età. Pazienti con carcinoma epatocellulare, senza metastasi, sottoposti a varie terapie per ridurre le dimensioni del tumore. I partecipanti sono stati quindi assegnati a due gruppi. Il primo è stato sottoposto al trapianto di fegato e il secondo ha continuato a essere seguito con le altre terapie non chirurgiche oggi disponibili. I risultati osservati soindicano che a cinque anni dalla diagnosi, la sopravvivenza libera da eventi tumorali è stata del 76,8% nei trapiantati e del 18,3% fra gli altri.
“Abbiamo la conferma che il trapianto di fegato può essere parte della cura di questo tumore in qualsiasi momento della sua storia, ovvero in qualsiasi momento si osservi una sufficiente “risposta” alle terapie per un sufficiente periodo di tempo” ha detto Vincenzo Mazzaferro.
I Centri che hanno contribuito allo studio e che negli anni hanno costruito una collaborazione di tale portata sono:
l’Istituto Nazionale dei Tumori IRCCS di Milano con il Dipartimento di Oncologia dell’Università di Milano,
l’Ospedale Cà Granda di Niguarda con l’Università Bicocca,
l’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo,
la Città della Salute e della Scienza e l’Università di Torino,
l’Ospedale Maggiore Policlinico IRCCS di Milano,
l’Ospedale e l’Università Politecnica di Ancona,
l’Università Tor Vergata e la Sapienza di Roma,
l’ISMETT di Palermo.
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