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Sordità: l’importanza di usare i termini giusti

Apriamo questo articolo citando il Decreto legislativo 20 febbraio 2006, n. 95, per come si presenta in Gazzetta Ufficiale (in G.U. n. 63 del 16 marzo 2006 – in vigore dal 31 marzo 2006) – Nuova disciplina in favore dei minorati auditivi.

Art. 1.

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  1. In tutte le disposizioni legislative vigenti, il termine «sordomuto» è sostituito con l’espressione «sordo».
  2. Il secondo comma dell’articolo 1 della legge 26 maggio 1970, n. 381, è sostituito dal seguente: «Agli effetti della presente legge si considera sordo il minorato sensoriale dell’udito affetto da sordità congenita o acquisita durante l’età evolutiva che gli abbia compromesso il normale apprendimento del linguaggio parlato, purché la sordità non sia di natura esclusivamente psichica o dipendente da causa di guerra, di lavoro o di servizio».

Al primo comma dell’articolo 3 della legge 26 maggio 1970, n. 381, le parole: «L’accertamento del sordomutismo» sono sostituite dalle seguenti: «L’accertamento della condizione di sordo come definita dal secondo comma dell’articolo 1».

La presente legge, munita del sigillo dello Stato, sarà inserita nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato.

Perché è utile sottolineare e parlare di tale riferimento legislativo?

In qualità di infermieri (ma vale per tutti i professionisti della salute), dovrebbe essere nostro interesse adottare e promulgare nella comunità scientifica le corrette conoscenze in tema di terminologia, in modo da dimostrare, anche sotto questo aspetto, di essere veri professionisti. Inoltre è nostro interesse promulgare accessibilità ai servizi assistenziali, rendendoli accassibili soprattutto quando si parla di un “mondo” a noi vicino fisicamente, ma culturalmente lontano: quello della sordità.

Tra le varie forme di cui siamo chiamati a garantire accessibilità ai servizi sanitari alle persone affette da ipoacusia c’è il saper conoscere e adoperare diligentemente il vasto sistema di leggi di cui è fatta la nostra Costituzione. Obiettivo abbastanza arduo: benchè chiamati a rispondere qualora dovessimo creare un illecito, è buona norma fare chiarezza e portare conoscenza in merito all’importanza di evitare determinate terminologie, in modo da garantire una corretta assistenza, in rispetto della dignità morale dei nostri assistiti.

Nonostante sia presente ormai da molti anni, ancora in pochi hanno realmente conoscenza della Legge 95 del 20 febbraio 2006. Infatti fin troppo spesso capita di sentire ancora, in riferimento alle persone sorde, i termini “sordomuto”, “non udente”, “audioleso”. Termini che, benchè ampiamente utilizzati, non rispecchiano assolutamente la realtà della persona sorda, e per di più ritenuti in alcuni casi offensivi.

Facciamo ulteriore chiarezza

  • SORDOMUTO – Questo termine risulta essere assolutamente non veritiero. Infatti una persona, benché nata sorda, possiede l’apparato fono-articolare assolutamente intatto. Con una corretta riabilitazione logopedica e audioprotesica, spesso della durata di decenni, ha la possibilità di interloquire egregiamente nell’uso della parola, al pari di qualsiasi udente.
  • NON UDENTE – Questo termine risulta essere offensivo per le persone sorde, in quanto la negazione posta all’inizio li categorizza come “persone mancanti in qualcosa”. In questo caso del senso dell’udito, facendo passare il messaggio di non essere all’altezza di “tutti gli altri”.
  • AUDIOLESO – Esattamente come per il termine precedente, anche questo è ritenuto offensivo in quanto va a sottolineare una mancanza permanente, senza possibilità di miglioramento.

Il termine “SORDO”, che va a sostituirli, è invece approvato dalla comunità sorda, in quanto li identifica come gruppo comunitario ben distinto e affermato. Nello stesso ambito della sordità esistono due tipologie ben distinte di termini di cui vogliamo fare menzione: “Sordo” e “sordo”.

I due termini possono sembrare identici, ma la prima lettera in maiuscolo nasconde una grande realtà al suo interno: l’identità.

Di per sé il termine “sordo” (scritto con la esse minuscola) rende anch’esso una mancanza che caratterizza la persona. Si rende perciò sinonimo di “ipoacusia”, termine appartenente al linguaggio tecnico sanitario.

Per quanto riguarda il termine “Sordo” (scritto con la esse maiuscola), esso rende il concetto di identità comunitaria. Non va a sottolineare una mancanza, bensì una possibilità, una vera espressione di orgoglio, l’insieme di capacità che permette al singolo componente della comunità di raggiungere obiettivi, esattamente come un soggetto udente.

In passato i sordi erano definiti “KOFOS”, termine coniato da Aristotele, che per la prima volta nella storia ha scritto riguardo la sordità. Il termine greco prende il significato di “sordo-sordità”, ma anche di “stupidità”. In passato, infatti, il sordo era considerato inferiore e relegato ai margini della società dominante.

Oggi la storia è ben diversa. Non c’è risultato che un sordo non possa raggiungere, anche in fatto di professioni d’aiuto come l’infermiere, il medico, ecc. La storia nel nostro Paese lo dimostra: tanti sono gli infermieri sordi presenti sul territorio italiano. Lavorano in equipe con gli udenti, svolgendo il loro ruolo con diligenza e professionalità.

L’inclusività e l’accessibilità sono cose indispensabili nel comparto sanitario, ma deve partire da noi. Scrolliamoci di dosso abitudini inappropriate, se non addirittura tossiche, legate all’uso improprio di terminologie, e sostituiamole con altre paritarie. Evitiamo di ghettizzare. Rispettiamo la sordità.

Daniele Polignano
Infermiere – Interprete LIS

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