Uno studio internazionale mira a sviluppare una nuova generazione di impianti cocleari.
Attualmente circa un milione di persone in tutto il mondo utilizzano un impianto cocleare, ovvero un dispositivo impiantato chirurgicamente con lo scopo di ripristinare la percezione del suono in soggetti affetti da perdita dell’udito profonda o da sordità. I microfoni all’esterno del dispositivo convertono il suono in segnali elettrici che poi stimolano direttamente il nervo uditivo nella coclea, la struttura dell’orecchio interno che trasforma i suoni in messaggi nervosi e li invia al cervello, che a sua volta ne codifica la percezione.
Sebbene gli impianti cocleari abbiano avuto grande successo nel permettere un recupero della comprensione del parlato in situazioni di silenzio, la loro risoluzione spettrale, ovvero la loro capacità di distinguere onde sonore con frequenze diverse, è limitata, e non consente di apprezzare la musica o di seguire conversazioni in presenza di rumore. Una recente pubblicazione sul prestigioso Journal of the American Chemical Society segna un passo avanti verso una nuova generazione di impianti cocleari attivabili con la luce in grado di superare i limiti degli impianti elettrici attualmente in uso.
I ricercatori dell’Institute for Bioengineering of Catalonia (IBEC), in Spagna, in collaborazione con lo University Medical Center di Göttingen (Germania), il CIBER-BBN (Spagna) e l’Institute for Advanced Chemistry of Catalonia del CSIC (Spagna), hanno sviluppato e utilizzato per la prima volta un agente farmacologico controllabile con la luce e in grado fotoattivare i neuroni uditivi di mammifero.
Questo studio, coordinato dal professor Pau Gorostiza, a capo del gruppo di ricerca Nanoprobes & Nanoswitches presso l’IBEC, e dal professor Tobias Moser, direttore dell’Institute for Auditory Neuroscience dello University Medical Center di Göttingen, potrebbe contribuire in futuro a migliorare la risoluzione spettrale degli impianti cocleari usati dalle persone affette da ipoacusia acuta.
I nuovi impianti cocleari sono in grado di convertire i suoni in stimoli luminosi che a loro volta vengono trasmessi all’orecchio interno. “Il gruppo del professor Moser, con cui abbiamo collaborato per questo progetto, ha fatto da apripista alla ricerca in questo campo mediante una tecnica nota come optogenetica, che ha permesso di ripristinare l’udito in animali di laboratorio attraverso una modificazione genetica dei neuroni cocleari, rendendoli così capaci di trasformare gli stimoli luminosi ricevuti da un apposito dispositivo (l’impianto cocleare) in un potenziale d’azione che viene trasmesso al cervello e percepito come suono”, spiega Gorostiza.
“Al fine di evitare la manipolazione genetica, in questo nuovo progetto abbiamo invece sviluppato un metodo alternativo per accoppiare la luce all’attività elettrica dei neuroni – aggiunge Carlo Matera, chimico farmaceutico dell’IBEC che ha sintetizzato TCPfast, dal 2020 ricercatore presso il dipartimento di Scienze farmaceutiche dell’Università degli Studi di Milano –. Abbiamo così ideato una molecola, denominata TCPfast, in grado di legarsi covalentemente a un recettore neuronale e di funzionare come una protesi molecolare che trasforma i normali neuroni uditivi in neuroni in grado di attivarsi con la luce”.
Rispetto agli attuali impianti cocleari attivati da uno stimolo elettrico, gli impianti attivati dalla luce consentiranno di superare alcuni limiti. “Il motivo principale per cui gli utilizzatori di impianti cocleari non riescono a percepire correttamente la musica e le conversazioni in ambienti rumorosi è rappresentato dal fatto che la coclea, per sua stessa natura, contiene dei liquidi – spiega Antoine Huet, ricercatore dello University Medical Center di Göttingen –. Questo fa sì che in alcuni casi gli stimoli di natura elettrica si propaghino al suo interno in maniera eccessiva. Poiché invece la luce può essere trasmessa in maniera più definita attraverso i liquidi, la nostra tecnica consente di stimolare i neuroni della coclea con una precisione di gran lunga superiore”.
In questo modo gli utenti otterrebbero, anche in situazioni uditive complesse, un recupero dell’udito più simile a quello fisiologico. “Quando le persone che utilizzano gli attuali impianti cocleari ascoltano della musica, il suono viene digitalizzato e non viene in realtà riconosciuto dal nostro cervello come musica – spiega Huet –. Per apprezzare la musica e la conversazione in presenza di rumore, la chiave sta nell’avere un’eccellente risoluzione delle frequenze che compongono il suono, e questo non può essere ottenuto con la stimolazione elettrica”.
TCPfast è stato progettato per poter essere attivato con luce blu. “Dopo aver testato gli effetti della nostra molecola in vitro su neuroni ippocampali, abbiamo condotto esperimenti in vivo su gerbilli, dei piccoli roditori – afferma Aida Garrido-Charles, ricercatrice presso l’IBEC –. Questi esperimenti ci hanno permesso di verificare che quando TCPfast viene colpito da luce blu è in grado di indurre un segnale nei neuroni della coclea. Si tratta della prima volta in cui un risultato del genere viene ottenuto adottando una strategia farmacologica e non genetica”.
In futuro i due gruppi di ricerca hanno come obiettivo quello di migliorare le caratteristiche di TCPfast e di studiare più a fondo l’effettiva capacità di molecole di questo tipo di ripristinare l’udito. “Le nostre simulazioni al computer ci dicono che ascoltare la luce dovrebbe permettere di recuperare un udito molto più simile a quello fisiologico: il prossimo passo sarà verificarlo sperimentalmente”, conclude Huet.
Redazione Nurse Times
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