Sono Stefania, un’infermiera, e amo il mio lavoro, anche ai tempi del Covid-19!

Riportiamo di seguito la lettera-testimonianza inviata a Piazzasalento da Stefania Preite, giovane infermieri impegnata in prima linea nell’emergenza Coronavirus:

Sono Stefania, un’infermiera di 26 anni che ha iniziato a lavorare al Centro “Don Orione” di Bergamo un anno fa, subito dopo essermi laureata. Un’infermiera al tempo del Covid-19, una delle tante infermiere che ha le proprie radici nell’amato e profondo Sud, ma che ha deciso di trasferirsi al Nord per cercare di crearsi un futuro migliore, e che ha passato gli ultimi mesi pieni di duro lavoro, non solo fisico, e tanto stress.

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Periodo che mi ha segnato molto, questo. Prima di ogni turno si cominciava con il controllo della temperatura corporea per noi del personale, e dopo si dava il via al processo di “vestizione”, quella che è stata la nostra seconda pelle per interi mesi: tutone, doppi guanti, mascherine, camici, soprascarpe. Non è stato per nulla facile lavorare con tutte le protezioni: la mascherina scomoda, gli occhiali che si appannavano sempre, il non poter bere o andare in bagno.

Eppure al momento non avevamo il tempo di pensare a questi problemi, passava tutto in secondo piano, la priorità era solo ed esclusivamente prenderci cura di chi aveva bisogno di noi. Ogni turno sembrava infinito. Le preoccupazioni tante. Il pensiero andava sempre ai pazienti, anche una volta tornati a casa, il chiedere al collega del turno successivo come andava, quel “non staccare” che me ne rendo conto è poco professionale.

Un’esperienza che mi porterò sempre dentro.

Pian piano senza quasi rendercene conto la Lombardia chiudeva, e poco dopo l’Italia intera. Non ci si poteva più spostare. Non si poteva più tornare dalle proprie famiglie. Viene fuori il termine “pandemia”, cose lette e rilette durante il percorso di studi, senza immaginare di potersi trovare un giorno in tutto questo inferno.

Stefania Preite

La paura e l’angoscia era tanta una volta tornata a casa, dove ormai vivo da sola da un anno, con la mia famiglia che vive a mille chilometri da me e che non vedo ormai non so più da quanto. La forza che dovevo avere quando sentivo i miei per cercare di trasmettere loro tranquillità, per fare in modo che la loro preoccupazione già alta, non aumentasse.

La voglia di tornare a casa e trovarli ad aspettarmi, per parlargli, raccontargli come era andata la giornata, trovare un bel pasto caldo di mamma, ascoltare i super consigli di papà, rivedere il mio super brother e mia sorella, semplicemente il gusto di un ottimo caffè dopo pranzo con loro, piccole cose di cui sentivo proprio il bisogno. La preoccupazione che a mia volta avevo per loro, il pensiero continuo che gli potesse capitare qualcosa!

Pensavo a quando avrei potuto rivederli, riabbracciarli.

E a quando avrei potuto riabbracciare il mio stupendo compagno, anche lui lontano chilometri da me, in Svizzera, che mi è stato vicino come nessun’altro, con chiamate, videochiamate, messaggi, una distanza fisica che ci ha fatto paura, ma che non gli ha impedito di essere presente in ogni istante, perfino quando nel bel mezzo dell’emergenza Covid ha passato un inferno anche lui, ritrovandosi in un letto d’ospedale per un importante intervento chirurgico, e io non ero lì. Eppure mi ha sempre dato la giusta carica, sopportandomi e supportandomi, accogliendo nelle sue larghe spalle tutte le mie preoccupazioni e ansie, e ha sempre creduto in me!

In questi mesi siamo costantemente stati esposti a una situazione di sofferenza e di morte. In me è stato costante il senso di impotenza, e ora che la situazione è più tranquilla mi rendo conto effettivamente di tutto ciò che è successo, e reagire è ancora più complicato. Un senso di vuoto, emotivo e non solo, riempie ogni giornata, ogni turno lavorativo!

Ho dato tutto quello che potevo, ma il più delle volte mi sembra davvero il nulla!

Tutto ciò che è rimasto di quelle mamme e quei papà, nonni, nonne, zii, zie, fratelli o sorelle è solo un sacco nero con gli effetti personali, foto, libri, ricordi di una vita. Una morte che ha portato via anche la dignità di quelle persone che per un virus subdolo non ce l’hanno fatta.

Un anno fa, quando mi sono laureata, mai mi sarei aspettata di poter passare una cosa simile. Nessun faldone universitario, nessuna lezione, nessun professore ti prepara a tutto questo. Eppure tornassi indietro rifarei altre mille volte questa scelta, la scelta di essere un’infermiera!

Non c’è giorno in cui non vada a lavorare con quella passione e quella dedizione che ho dentro, non c’è giorno in cui non regali un sorriso ai miei pazienti, quel sorriso che sembra il nulla ma che il più delle volte basta per rassicurare e per offrire un minimo di speranza,  speranza che presto tutto torni alla normalità.

Sono Stefania, un’infermiera, e amo il mio lavoro, anche ai tempi del Covid-19!

Stefania Preite – Ugento

Dott. Simone Gussoni

Il dott. Simone Gussoni è infermiere esperto in farmacovigilanza ed educazione sanitaria dal 2006. Autore del libro "Il Nursing Narrativo, nuovo approccio al paziente oncologico. Una testimonianza".

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