Normative

Simulazione di malattia e licenziamento, il punto della Cassazione

Secondo la Corte suprema, l’allontanamento del lavoratore è giustificato solo se la sua “malizia” risulta provata.

Con sentenza del 19 dicembre 2017 la Cassazione ha fatto il punto in tema di simulazione di malattia del lavoratore, soprattutto sul possibile rischio di licenziamento, che diviene concreto solo se la simulazione stessa sia adeguatamente provata.

Nel caso specifico, il Tribunale di Modena aveva respinto la domanda proposta da un autista di pullman, volta a far accertare l’illegittimità del licenziamento che gli era stato intimato dall’azienda municipalizzata di trasporto urbano. L’uomo era stato licenziato in seguito a una contestazione disciplinare, cioè per aver “ripetutamente svolto attività lavorativa nella cartoleria-tabaccheria della moglie per alcune giornate del settembre e dell’ottobre 2009”. Attività, questa, svolta durante il periodo di malattia, concesso per un presunto “disturbo dell’adattamento”.

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La Corte d’appello di Bologna aveva tuttavia ribaltato la sentenza di primo grado, sostenendo che “l’attività discontinua limitata temporalmente nell’ambito della tabaccheria gestita dai familiari (…), alla luce della patologia di disturbo dell’adattamento con sindrome mista”, non consentiva di ritener provata la simulazione della malattia. Ciò in quanto il lavoro in tabaccheria richiedeva una capacità lavorativa molto diversa da quella oggetto del contratto di lavoro.

La società datrice di lavoro si è quindi rivolta alla Corte di Cassazione. A suo avviso, “una diagnosi di disturbo dell’adattamento (…) dovrebbe essere valutata alla stregua dei criteri clinici”. E ciò non era avvenuto, non avendo la Corte d’appello considerato un aspetto importante: “colui che è affetto in modo apprezzabile dal disturbo dell’adattamento non può lavorare e non ci riesce, trattandosi comunque di una reazione individuale a un evento ritenuto stressante che compromette tout court la capacità lavorativa, sia che si lavori in un esercizio commerciale, sia che si svolga un’attività di autista di pullman”.

Non solo. Secondo la Cassazione, il giudice d’appello aveva adeguatamente ritenuto che il “disturbo dell’adattamento con sindrome mista” da cui era affetto il lavoratore non si poneva in contrasto con lo svolgimento, anche discontinuo e limitato temporalmente, di attività nella tabaccheria di proprietà familiare, “diversamente ritenendo con riferimento alla capacità di lavoro specifica connessa alla sua prestazione lavorativa di conducente di pullmann di linea”.

In conclusione, la Corte suprema ha rigettato il ricorso proposto dalla società datrice di lavoro, confermando integralmente la sentenza impugnata e condannando la ricorrente anche al pagamento delle spese processuali.

Redazione Nurse Times

Fonte: www.responsabilecivile.it

 

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