Il Direttore

“Sanità pubblica al collasso? Colpa della politica”

Riceviamo e pubblichiamo le considerazioni di “un infermiere indignato”.

Correva l’anno 1978 (Tina Anselmi ministro della Salute) quando fu istituito il Servizio sanitario nazionale, col compito di prevenire e curare le malattie gratuitamente per chiunque ne avesse bisogno. Una grande conquista, un fiore all’occhiello del Welfare State, modello per numerose altre nazioni e considerato tra i migliori al mondo per efficacia ed efficienza.

Ma cosa rimane di tutto ciò? Nulla, assolutamente nulla. L’Istat, infatti, ci dice che il 6,5% della popolazione ritarda le cure o non si cura più, segno tangibile di un Ssn in sofferenza, con liste d’attesa fuori controllo e lunghi mesi che devono trascorrere per semplici esami strumentali o visite specialistiche, in particolare al Sud. Tutto questo ha fatto in modo che l’Italia diventasse il secondo Paese al mondo dopo gli Usa in cui i cittadini devono sborsare di tasca propria, o tramite una mutua privata, oltre 35 miliardi per curarsi presso strutture private.

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Come è possibile in un Paese dove esiste un servizio sanitario pubblico e gratuito garantito per legge? Tutto questo è assurdo e ingiustificabile. Rappresenta il fallimento più totale dello Stato e della politica sorda e ignobile, impegnata in una campagna elettorale che parla di tutto fuorché di sanità. Ne parla, invece, un certo tipo di informazione (sempre più rara), come quella di PresaDiretta, che insieme al settimanale L’Espresso, con la puntata del 22 gennaio, ha acceso i riflettori su una sanità ormai al collasso. Una sanità che non interessa a nessuno, pronta a esplodere nel breve periodo, se non saranno attuati investimenti e politiche serie, che mettano al primo posto la salute dei cittadini.

Uno spaccato drammatico, quello descritto da PresaDiretta e L’Espresso, che hanno parlato di riforma del Titolo V della Costituzione del 2001, da cui è derivato un divario, accertato da una speciale classifica del ministero della Salute, tra regioni del Nord, maggiormente virtuose, e regioni del Sud, estremamente disastrate, come la Campania che si trova all’ultimo posto.

Nelle regioni del Sud che offrono meno servizi sanitari i cittadini hanno un’aspettativa di vita fino a 4 anni inferiore rispetto ai cittadini delle regioni del Nord. Lo stesso dicasi per la mortalità, che aumenta al Sud e diminuisce al Nord, dove si gioca d’anticipo con la prevenzione (per esempio mammografia preventiva per il tumore alla mammella), cosa che invece nel Mezzogiorno non esiste.

Anche il tasso di ospedalizzazione al Sud è più alto, poiché il ricovero arriva quando la malattia è ormai cronica. In pratica una persona che potrebbe essere curata tranquillamente a casa va in ospedale quando è già troppo tardi, perché manca la rete sul territorio rappresentata anche dall’assistenza domiciliare integrata, pressoché inesistente.

Un Paese diviso in due, insomma, come se fossero due Paesi diversi. Basti pensare che i dati sull’aspettativa di vita della Campania e delle regioni meridionali sono vicini a quelli di Romania e Bulgaria, mentre i dati delle regioni del Nord sono vicini a quelli della Svezia. Ma la cosa più agghiacciante è che negli ultimi anni proprio Romania e Bulgaria hanno avuto un trend positivo, perché hanno investito nella sanità. Cosa che non è successa in Italia (per tutte le regioni), dove si sono persi tutti i guadagni in aspettativa di vita maturati nel secondo dopoguerra.

Non è un caso che le regioni classificate peggio sono quelle costrette a rientrare dai debiti, che appunto per cercare di sanare questi ultimi hanno effettuato tagli tali da provocare riduzione dei servizi, blocchi di turn-over, inefficienze e nessuna risorsa per l’innovazione. Quella del Titolo V, dunque, è una riforma costituzionale vergognosa

, fatta dai super competenti politici italiani, che ha complicato tutto notevolmente.

Sì, perché riformando il Titolo V della Costituzione si è affidata alle Regioni la competenza esclusiva della gestione delle rispettive sanità. Quindi, anche se lo Stato centrale e il ministero della Salute volessero intervenire, aiutando in termini economici le Regioni, non lo potrebbero fare. A tal proposito, per uscire da questa impasse, secondo Walter Ricciardi, presidente dell’Istituto superiore di sanità e massima autorità sanitaria del Paese, occorrerebbe un nuovo assetto nel rapporto tra Stato e Regioni, tralasciando le Regioni che funzionano bene e intervenendo sulle Regioni in sofferenza. Di ciò beneficerebbero i cittadini, che pian piano avrebbero la possibilità di godere degli stessi livelli essenziali di assistenza (compromessi dalla riforma del Titolo V) in tutte le Regioni. Ma bisognerebbe intervenire con urgenza, perché c’è il rischio di sprofondare molto prima di quanto si creda.

Dunque, a mio avviso, se non si cambia l’attuale assetto, se lo Stato e politica  non intervengono in prima persona per sostenere il Sistema sanitario nazionale e regionale, anziché effettuare solo tagli lineari e demolire la sanità pubblica, non si va da nessuna parte. E il punto focale è proprio questo: se non si finanzia la sanità, è ovvio che non la si può migliorare. Ma siamo sicuri che tutto questo alla politica interessi?

Così come non interessa l’esodo dei giovani medici verso le regioni del Nord Italia nella migliore delle ipotesi, oppure all’estero. Sì, perché, dopo lunghi anni di studio e formazione, l’Italia “regala”, in particolare a Svizzera, Germania, Austria e Francia, i migliori professionisti che in patria sarebbero invece costretti a un eterno precariato.

Basti pensare che, nei prossimi dieci anni, saranno 71mila i medici ad andare in pensione, 15mila medici di famiglia e 56mila medici ospedalieri. Questi ultimi non saranno mai rimpiazzati, se si continuano a tagliare i posti a concorso per le scuole di specializzazione. E siamo sicuri che alla politica interessino anche i dati Ocse del 2014, secondo i quali in Italia mancano 60mila infermieri, mentre sono 25mila quelli disoccupati? Come è possibile, con così tanto bisogno di buona sanità?

Ecco, le risposte a tutte queste domande dovrebbe darle la politica. Una politica responsabile e attenta alle problematiche della salute. Cosa che non è la politica Italiana. In questa campagna elettorale ho sentito il centrosinistra di Renzi proporre l’assunzione di 10mila unità all’anno nelle forze dell’ordine. E i medici? E gli infermieri? Neanche una parola. Il centrodestra di Berlusconi, invece, parla solo di sicurezza, ponte sullo stretto ed elezione diretta del capo dello Stato, come se queste fossero le più urgenti misure da adottare. E la salute? Ah già… Lui è ricco, dimenticavo.

Il raffreddore se lo può curare anche in Svizzera (dove, tra l’altro, ci sono tanti medici italiani). Il Movimento 5 Stelle di Di Maio ha solo timidamente accennato al tema sanità, ma senza proposte concrete. Poi c’è qualche slogan fine a se stesso lanciato da Liberi e Uguali di Grasso. E c’è una piccola formazione politica denominata Potere al Popolo, che  ha sottolineato l’importanza del tema sanità, ma risulta troppo debole per essere ascoltata.

Si spera che dopo il 4 marzo qualcosa cambi in meglio (io, personalmente, non ci credo più) e, soprattutto, che i cittadini sappiano scegliere bene, restituendoci una sanità pubblica che ci è stata strappata via, senza che noi battessimo ciglio.

Un infermiere indignato

FONTI:

https://www.presadiretta.rai.it/dl/portali/site/puntata/ContentItem-8ab60748-5ec6-48ed-9279-463a0e99c0c4.html

https://espresso.repubblica.it/inchieste/2018/01/22/news/sanita-corsa-alla-mutua-integrativa-gli-italiani-con-l-assicurazione-privata-sono-raddoppiati-1.317359?ref=HEF_RULLO

https://espresso.repubblica.it/attualita/2018/01/22/news/il-servizio-sanitario-nazionale-e-un-miracolo-nonostante-i-politici-1.317355

https://espresso.repubblica.it/inchieste/2018/01/22/news/cosi-stanno-uccidendo-la-sanita-pubblica-1.317368

 

Redazione Nurse Times

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