RSA: evoluzione possibile, diamo valore al nostro impegno

Quando scelsi di lasciare il Servizio Pubblico rinunciando al mio ruolo presso l’Ospedale mai avrei immaginato che ciò era considerato da molti un ripiego e appannaggio quasi esclusivo di colleghi provenienti da altri Paesi sarebbe stato oggi un passaggio forzato per chi è in cerca di “prima occupazione”, per dirla in sindacalese, o come inizio della propria carriera professionale, per dirla in maniera autorevole.

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Lo si chiami come si vuole, l’Infermiere che si trova il proprio diploma di laurea in mano, spesso si ritrova catapultato in una realtà poco sconosciuta, un campo complesso, diverso e scioccante. La Residenza Sanitaria Assistita (o Socio-Sanitaria) rappresenta il primo vero test dell’avventura lavorativa.
Ci si arriva, purtroppo, poco preparati perché è convinzione diffusa che l’attività dell’Infermiere sia duttile e plasmabile in ogni luogo dove egli opera.

La realtà delle RSA è ben diversa da come la si immagina, non è una “prestazionificio” dentro il quale il nostro sapere e le nostre competenze sono annichilite perché spesso ci si ritrova arresi dalla mancanza di strumenti.
Se vogliamo provare a cambiare il paradigma culturale che circonda questo mondo occorre che gli Infermieri pretendano quel ruolo di protagonista che ne fa l’unico Responsabile dell’Assistenza, con la pretesa di avere un ruolo riconosciuto contrattualmente e stimolando la crescita e la conoscenza del personale operante.
L’Infermieristica può essere, dovrebbe – deve, la soluzione vincente per affrontare i livelli di intensità assistenziale che si sono decisamente alzati negli ultimi anni.
Il passaggio dalla presa in carico, con la sua valenza psichiatrica, alla “presa in cura” dei bisogni assistenziali è fondamentale per comprendere appieno il setting.
Il setting assistenziale nel quale operiamo è, contrariamente a quanto si potrebbe immaginare, fortemente dinamico caratterizzato dalla miriade di relazioni che si istaurano durante il processo.
L’Infermiere diventa dunque l’interprete necessario per poter fungere da “guida” nell’equipe; una guida capace di realizzare Piani Assistenziali che siano davvero quello strumento di esercizio capace di realizzare quegli standard di qualità a cui tutti mirano.

L’appello è dunque verso i colleghi giovani, dinamici, desiderosi di apprendere ma soprattutto di restituire quanto hanno acquisito negli anni di studio.
Assistere l’anziano fragile, con il suo bagaglio di co-morbidità non è solo il punto di partenza di una carriera ma può diventare la carriera stessa .
Sono consapevole che è facile farsi affascinare dalle luci blu delle Ambulanze del 118 o dal tecnicismo esasperato delle U.O. di Terapia Intensiva ma sapere affrontare l’assistenza al termine di un percorso di vita può regalare le stesse soddisfazioni se saremo in grado di affermare definitivamente la nostra peculiarità di fronte alle attuali legislazioni che regolano le RSA.
Pretendere più infermieri non significa aprire le porte del mercato del lavoro e con lui la possibilità di nuove occupazioni ma significa aprire le porte all’Infermieristica rimasta per troppo tempo ai margini nel luogo dove maggiormente dovrebbe esistere.
Bisogna cominciare a chiedere alla politica un cambio di passo ed avere il coraggio di pretendere maggior protagonismo e spazio.


Affrontare oggi l’emergenza “anziani” promuovendo un nuovo approccio assistenziale basato sulle Scienze Infermieristiche può essere una delle tante risposte che possiamo dare in una fase storica di contrazione economica per le spese sanitarie e sociali.
Appare del tutto contraddittorio che di fronte ad un ambiente in cui si parla quasi esclusivamente di livelli di assistenza e si rimarca il basso livello di cura, noi Infermieri continuiamo a vedere sottovalutata per non dire ignorata la nostra potenziale capacità di rendere queste strutture luoghi di qualità di vita e non semplicemente come capita di sentire “anticamere della morte”.

In Toscana, la regione da dove vi scrivo, ma più precisamente dalla Città Metropolitana di Firenze, il collegio IPASVI ha da molto tempo puntato il focus su questo angolo che per molti anni è sembrato dimenticato, insieme ad ARS abbiamo provato a pesare “quel valore” che esiste nelle RSA.

Dati alla mano si riscontra sempre un numero piuttosto significativo di ricoveri ospedalieri legati all’età che va dai 65 anni in poi. Molti di questi ricoveri si susseguono nel tempo e spesso, per molti esperti, un numero altrettanto significativo potrebbe essere evitato. La capacità di monitoraggio continuo che l’Infermiere è in grado di sviluppare porterebbe ad un approccio farmacologico appropriato con una ricaduta in termini economici che potrebbero essere rilevanti, a tal proposito interessante sono le considerazioni di Evidence del gruppo di Gimbe Fondation.

Questi sono solo piccoli esempi di quanto valore ha nelle sue corde la nostra professione.
Lanciando una provocazione mi verrebbe da chiedere “dove siete colleghi? Quali problematiche affrontate? Quali esperienza avete? Cosa vorreste vedere migliorare? Quale è il vostro modello di riferimento?”.
Sarebbe importante provare a fare una fotografia, valutare le unità in organico nelle realtà residenziali, quali contratti vengono applicati, il livello di retribuzione ed i ruoli che vengono svolti.
Contiamoci, diamo valore al nostro impegno.

Piero Caramello

Redazione Nurse Times

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