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Piacenza, infermiere accusato di violenza sessuale su paziente psichiatrica: “Eravamo amici, ma poi ha esagerato”

La testimonianza della presunta vittima in tribunale: “Mi prendeva la mano e la metteva sulle sue parti intime”.

Un infermiere dell’Ausl Piacenza è imputato per violenza sessuale perché, secondo l’accusa, avrebbe abusato di una paziente psichiatrica con la quale aveva stretto un rapporto di amicizia. I fatti risalgono al 2018, quando la donna fu ricoverata nel reparto di Psichiatria dell’ospedale “Guglielmo da Saliceto” di Piacenza. All’epoca, una volta partita l’indagine della polizia, fu sospeso dal servizio, per poi essere reintegrato altrove.

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Martedì, davanti al Tribunale di Piacenza, ha testimoniato la presunta vittima, sostenendo che il sanitario avrebbe in più occasioni allungato le mani e l’avrebbe spinta a toccarlo. “All’inizio era molto gentile – ha riferito -. Avevo bisogno di conforto e mi dava supporto. Poi, però, in più occasioni mi ha preso la mano e l’ha messa sulle sue parti intime”.

Gli episodi analoghi sarebbero diversi. “Oltre a essere un infermiere – ha proseguito la presunta vittima -, mi sosteneva moralmente. Era umano con me, e mi fidavo. Eravamo anche amici, ma poi ha esagerato. Ero già fragile di mio, ed ero lì per trovare un senso alla mia vita. Lui era attento e premuroso. Camminavamo lungo il corridoio e si chiacchierava. Avevo capito di piacergli, e la cosa era forse anche reciproca. Magari, una volta fuori, avremmo potuto uscire e vederci, ma ero imbottita di farmaci, non era il momento”.

E ancora: “Durante le passeggiate mi abbracciava, ma questo mi faceva anche piacere. Poi ha cominciato a prendermi la mano e a metterla sulle sue parti intime. Lo pregavo di smetterla, perché mi dava fastidio. Non volevo e non lo avevo provocato. Dove c’ero io, c’era anche lui: forse pensava che poi mi sarebbe piaciuto e che eravamo fidanzati. In un’occasione ha preso il mio telefono e si è mandato un messaggio, così da avere il mio contatto”.

La testimone ha poi aggiunto: “Una sera ero a guardare la tivù nella saletta comune. Le luci erano spente e lui è entrato. Mi ha abbracciato con più foga, palpeggiandomi. Poi mi ha preso la mano e ha fatto ancora quello che faceva durante le passeggiate. Era anche agitato, andava alla porta per vedere se arrivava qualcuno. Infine è arrivato il primario, che immediatamente mi ha portato nel suo ufficio e io gli ho spiegato quello che era accaduto. I giorni successivi l’ho visto ancora in servizio. Mi chiamava e scriveva messaggi, o me lo ritrovavo in stanza a qualsiasi ora: mi chiedeva di dichiarare che ero consenziente. Poi mi hanno dimessa. Forse si è approffittato della mia fiducia, ma io non volevo. Mi sono sentita un oggetto”.

Redazione Nurse Times

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