Malattie cardiovascolari, in arrivo i nuovi scudi salva-cuore

Inibitori del colesterolo e molecole anti-trombi possono migliorare la qualità della vita.

Superfarmaci che salvano il cuore. Quando le terapie tradizionali non hanno più efficacia, ci sono gli anticorpi monoclonali e anticoagulanti orali. Sono arrivati anche in Italia e sono in grado di ridurre del 10% il rischio di morte per infarto, ictus e coronaropatia.

Le malattie cardiovascolari rappresentano ancora la principale causa di morte nel nostro Paese, sia per gli uomini sia per le donne. Ma buone notizie arrivano dal convegno Change in Cardiology di Torino, dove un gruppo di specialisti internazionali ha presentato le ricerche più avanzate, spiegando anche gli effetti a lungo termine delle cure più recenti.

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Su tutti i farmaci ne spiccano due. C’è la classe degli inibitori della Pcsk9, la proteina che causa l’accumulo delle lipoproteine: le nuove sostanze sono in grado di garantire una riduzione almeno del 60% dei livelli di colesterolo cattivo. E poi c’è il cangrelor, antiaggregante endovenoso che ha ottenuto la rimborsabilità da parte del Sistema sanitario nazionale in fascia ospedaliera. È destinato a pazienti con cardiopatia ischemica sottoposti ad angioplastica coronarica.

«Il cangrelor è una delle più importanti novità per il trattamento antitrombotico, perché, rispetto agli antiaggreganti orali, si basa su un meccanismo di on-off immediato», spiega Giuseppe Musumeci, past-president della Società italiana di Cardiologia interventistica e direttore scientifico del convegno. «Il farmaco – aggiunge – ha un’azione immediata sull’aggregazione piastrinica e altrettanto rapidamente è possibile bloccarlo, interrompendo la somministrazione endovenosa e garantendo una maggiore sicurezza per il paziente, soprattutto in caso di complicanze emorragiche».

E se in Italia è disponibile solo da pochi mesi, è da anni che Dominick Angiolillo, specialista della University of Florida, utilizza questo potente inibitore della P2yl2: «Ha specifiche uniche nel suo genere – spiega lui stesso – e si è dimostrato indispensabile per i pazienti con le condizioni più complesse. Ha infatti le caratteristiche ideali per fare “da ponte” tra gli antiaggreganti orali e il bypass coronarico»

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Angiolillo, tra l’altro, è fautore di un importante studio, appena pubblicato su Circulation, che conferma «l’efficacia dell’azione combinata di anticoagulanti orali e non (il cangrelor con il ticagrelor), evidenziando i risultati sui pazienti che hanno subito un infarto e che sono stati sottoposti all’angioplastica coronarica».

Se gli Usa sono all’avanguardia, l’Italia è comunque al primo posto in Europa per il trattamento dell’infarto miocardico acuto. «La riduzione della mortalità intraospedaliera – sottolinea Musumeci – è legata soprattutto al trattamento dell’infarto con l’angioplastica coronarica. Nel nostro Paese si eseguono 600 interventi di angioplastica primaria per milione di abitanti. È un valore definito “ideale”, che in Europa raggiunge soltanto la Germania. Dei 750 pazienti per milione di abitanti colpiti da infarto, la stragrande maggioranza è trattata proprio con l’angioplastica primaria, alla quale si affianca una terapia sempre più innovativa».

Ma mai come ora è la prevenzione a fare la differenza. I controlli sono quindi essenziali, visto che il livello di colesterolo “cattivo” nel sangue è direttamente proporzionale al rischio di malattie cardiovascolari. E dove la dieta non arriva, soprattutto per i pazienti più gravi, i farmaci diventano alleati indispensabili.

«Un problema costante, tuttavia, è la scarsa aderenza alle prescrizioni del medico – prosegue Musumeci –. È questa la principale causa della non efficacia delle terapie farmacologiche. Ma dove le statine non sono sufficienti, abbiamo una nuova arma: gli anticorpi monoclonali, che si iniettano sottocute ogni due settimane o una volta al mese. Si somministrano da soli o in combinazione con le statine o con altre terapie ipolipemizzanti. La ricerca ha dimostrato l’efficacia di questi farmaci soprattutto nei soggetti con livelli di colesterolo di partenza più elevati o per chi non riesce a mantenere il colesterolo “cattivo” sotto quota 100». Un approccio promettente, per una cura che, ovviamente, va prescritta dallo specialista sulla base delle esigenze di ogni paziente.

Redazione Nurse Times

Fonte: La Stampa

 

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