Infermieri

Lo sfogo di una giovane infermiera: “Sono stanca di ruoli da oss nascosti sotto la dicitura ‘infermiere’. Io mollo”

Un post affidato ai social carico di frustrazione, insofferenza e delusione per la realtà lavorativa e professionale incontrata subito dopo la laurea. È così che Ilenia ha scelto di dichiarare al mondo la sua volontà di lasciar perdere.

“Salve a tutti. Sono un’infermiera neolaureata con il massimo dei voti. Anche se giovane e fresca di studi, sono consapevole di essere competente, di fare bene il mio lavoro, di essere capace di migliorare giorno dopo giorno per crescere professionalmente il più possibile. Mi dispiace dire, però, che probabilmente questa non è la mia strada.

Io ammiro tutti voi che, giorno per giorno, provate a combattere questo schifo di sistema, ma io non sono in grado di sopportare tutto ciò. La realtà è devastante e demoralizzante. Ciò che propongono sono sempre, essenzialmente, ruoli da oss nascosti sotto la dicitura ‘infermiere’ sul cartellino.

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Spudoratamente offrono lavoro dicendo ‘l’infermiere del nostro centro collabora con l’oss, fa letti, igiene, imbocca i pazienti, prepara la colazione… Non è solo terapia e punturina’. Bene, se mi sono dovuta fare tre anni di studi, dando anima e corpo al fine di laurearmi con il massimo dei voti per fare tutto ciò e per preparare la colazione… Be’, allora preferisco fare la barista sotto casa.

E non venite a dirmi che siamo angeli con la vocazione, che dobbiamo accettare tutte le condizioni per il bene del paziente. Al nostro “bene” chi ci pensa? I sindacati? I coordinatori? Le strutture? No. Nessuno ci difende, nessuno ci tutela, nessuno ci rappresenta. Non ho mai visto un fisioterapista, un logopedista o qualsiasi altra figura imboccare o preparare la colazione all’assistito. Eppure siamo tutti professionisti laureati che hanno come scopo quello di migliorare lo stato generale della persona.

La cosa più demoralizzante è che questa realtà si presenta nella maggior parte delle strutture italiane, pubbliche o private che siano. Sono dottoressa in Infermieristica, ma per tutti sarò sempre e solo la lava-culi con la laurea. Chiedo a voi aiuto, sostegno, consigli, basandovi sulla realtà dei fatti, su dove e come viviamo/lavoriamo. Grazie a chi risponderà.”

Questo post ci ha intristito parecchio. Non tanto per ciò che ha denunciato Ilenia, realtà con cui noi di Nurse Times combattiamo quotidianamente, quanto per la distruzione: la distruzione del morale, dei sogni, delle speranze, dell’entusiasmo di chi ha fatto tanti sacrifici, convinta che sarebbe davvero diventata un professionista. Salvo poi ritrovarsi impantanata in una denominazione, quella di infermiere/a, ancora saldamente legata alle figure giurassiche del passato; e “confusa”, da datori di lavoro molto “distratti”, con figure dalla diversa professionalità.

L’ho poi contattata in privato, Ilenia. Mi ha chiesto di garantirle l’anonimato per evitare ulteriori problemi nell’affannosa ricerca di una posizione lavorativa degna di tale nome. Mi ha spiegato meglio la sua situazione, la sua delusione, il suo burnout. Ecco il suo ulteriore sfogo.

“Purtroppo è sbagliato tutto, dal corso di studi fino alle offerte di lavoro. Durante il tirocinio universitario gli infermieri ci aspettavano solo per fare l’igiene. Come se fossimo degli sguatteri volontar

i e nulla più, indispensabili per alleviare il loro carico di lavoro e basta. Non dei futuri professionisti da formare. Ovviamente, col tempo, tutto ciò porta gli studenti  a pensare che questo sia giusto, che sia veramente una parte fondamentale del nostro lavoro. E nonostante le molte sentenze sul demansionamento, dal 1985 a oggi, parlino chiaro.

L’università ci racconta (o peggio, non ci racconta!) tante belle cose. Poi, però, durante il tirocinio dobbiamo ancora spingere il carrello della visita per i signori medici, mantenere la maglia del paziente perché il ‘dottore’ non è in grado di farlo e dobbiamo sempre e comunque stare alle regole non scritte del ‘si è fatto sempre così’.

In reparto non ho mai sentito parlare nessun infermiere di ‘processo nursing, ricerca infermieristica, EBN’, ecc. Tutte cose che ormai conosciamo perfettamente solo a livello teorico e che non metteremo mai in pratica. Ciò che mi fa paura è che non sono solo i ‘vecchi infermieri’ a pensarla così…

Il demansionamento che si vive nelle strutture, sia pubbliche sia private, è qualcosa di irreale. È un incubo. Che spesso non viene nemmeno a galla. Perché non puoi azzardarti a dire nulla o a protestare, responsabilità/competenze o sentenze alla mano. Perché a mandarti via non ci mettono niente. Non hai diritti. ‘Non fa come dico io? Può andare via’. Questo è il ritornello più comune. E da qui a guardare colleghi che lavano i pavimenti la strada è davvero breve.

Io non giudico chi accetta questi lavori, per carità: la gente deve lavorare per vivere. Giudico, però, tutti coloro che sono d’accordo su questo tipo di sistema, che pensano: ‘eh, ma la gavetta si deve fare. Eh, ma sei troppo spocchiosa, ci vuole la vocazione, per il bene del paziente’. La gavetta, io la faccio volentieri, ma da infermiere, non da oss.

Non sono una suora missionaria. Non ho visto nessuna luce bianca che mi ha fatto capire di avere una qualche vocazione. La verità è che dietro le baggianate come ‘missione’ o ‘vocazione’ c’è solo una sorta di lavaggio del cervello subito durante la formazione, che ti getta fumo negli occhi ogni volta che individui una carenza e che non ti fa fare le domande giuste, se non un tristissimo: non può farlo nessuno? Allora lo faccio io, per il bene del paziente’.

Non sarebbe sbagliato, in un contesto di collaborazione in cui TUTTI collaborano veramente. Purtroppo, però, non ho mai visto medici, fisioterapisti, dietisti, logopedisti o altri professionisti fare da ‘tappabuchi’, da sguatteri per il bene del paziente. Se ne fregano perché non è di loro competenza. Perché sono dei professionisti. Tutti gli altri lo sono. Tranne noi”.

Abbiamo consigliato a Ilenia di non arrendersi, di lottare con noi per cambiare le cose. E di segnalare, sempre e comunque, tutte le situazioni che ledono il decoro della professione infermieristica al suo Ordine.

Alessio Biondino

 

Redazione Nurse Times

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