In Italia, lo sappiamo bene, la morte volontaria assistita non è giuridicamente accettata. Molte persone, malati terminali, per superare questo scoglio apparentemente insormontabile, decidono di non voler continuare con questo tipo di vita e, quindi, si affidano ad alcune associazioni che li assistono nel tragitto tra casa e Hospice Svizzero.
La “buona morte” viene praticata in vari paesi, tra cui Olanda, Belgio, Svizzera ma, solo in quest’ultima, l’eutanasia non è riservata ai soli residenti.
Gli italiani che si rivolgono alla Svizzera, per porre fine alla propria vita, sono circa 200 all’anno, anche se si tratta di una stima approssimativa, in quanto non esistono cifre ufficiali poiché, le cliniche elvetiche non forniscono questi dati. Non vi sono, però, differenze tra i sessi.
Prima dell’eutanasia vera e propria, è previsto un colloquio con un medico e uno psicologo, al termine del quale viene dato il primo assenso alla procedura. Dopo il colloquio, in cui i sanitari hanno l’obbligo giuridico di far desistere l’assistito da compiere questo passo, a differenza di quanto si possa pensare, quasi metà delle persone che si sono rivolte alla struttura abbandona il proprio proposito, rivedendo le proprie decisioni.
Anche il fattore economico influisce sull’effettiva esecuzione della procedura. Infatti, il costo dell’eutanasia, oscilla tra i 10 e i 13 mila € e, conseguentemente, molti malati terminali sono costretti a rinunciarvi.
Se dopo il colloquio, il paziente è rimasto della sua idea, si procede ad alcune visite necessarie per attestare le condizioni patologiche reali. Al termine delle visite, se tutto è regolare, viene rilasciato il nulla osta definitivo.
Secondo alcuni studi 6 italiani su 10 sono favorevoli a questa pratica, anche se, rispetto al 2010, vi è stata una riduzione di più del 2% tra i favorevoli.
Ma, per quale ragione, vi è questa forte “propensione” a considerare l’eutanasia, una scelta da intraprendere? La risposta risiede, principalmente, nella mancanza, da parte del personale medico, di una cultura del morire senza dolore, in modo dignitoso. Vi è, ancora, molto timore nell’usare sapientemente farmaci, nella fase terminale di una malattia, capaci di ridare dignità alla persona morente.
“La morte ci preoccupa…” afferma in un suo testo il prof. Sandro Spinsanti “ci preoccupa la possibilità di cadere in mano a un medico tanto bravo da farci di tutto per impedire la morte“.
Nell’ultimo periodo, la situazione sembra lentamente attraversare una fase di cambiamento che porta ad un approccio diverso al morente e al morire permettendo una morte dignitosa e priva di sofferenza, senza inutili accanimenti su un corpo inteso come contenitore di funzioni e agglomerato di organi, accettando la persona nella sua complessità.
Carmelo Rinnone
Fonte
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