Cara redazione,
Ho letto da poco una lettera da un utente che ha elogiato il personale medico e infermieristico del Pronto Soccorso di Busto Arsizio.
Durante la lettura, e leggendo i commenti di altre persone in merito ad esperienze personali, non ho potuto che sorridere e, in parte, provare un senso di disagio. Sono un infermiere e mi sono sentito toccato da vicino. Mi permetta di spiegarle le motivazioni di tale disagio.
Si leggono mille argomentazioni, esperienze personali, aneddoti che riguardano il personale ospedaliero; la cronaca puntualmente addita una struttura piuttosto che un’altra per casi di “malpractice”. Sono da sempre un grande sostenitore della giustizia in senso lato, quindi sono il primo a dichiarare che è giusto, anzi, doveroso, da parte dei media, informare il popolo italiano circa le vicissitudini disastrose, dannose e raccapriccianti che succedono negli ospedali o nelle strutture private nel nostro Paese.
Ma, ed esistono tanti “ma”, la malpractice è sempre esistita. Solo da qualche anno, forse emulando gli altri stari “l’affare sanitario” è diventato di dominio pubblico. Da qualche anno il SSN è cambiato. Da qualche anno la formazione universitaria è cambiata e consequentemente il modo di “fare sanità“… almeno per quanto riguarda gli infermieri.
E gli infermieri, che in tutto questo sono ancora in giro con sacche di sangue, cateteri, siringhe, guanti, fogli, telefoni che suonano… corrono dietro ai medici e pensano quanto sia irritante che non appena arriva il medico, i pazienti non abbiano niente da dire, nessun commento… mentre fino a 5 minuti prima avrebbero raso al suolo il reparto, avrebbero pagato per un antidolorifico che non è prescritto e che non gli puoi dare (al momento).
Non ci si spiega perchè facciano agli infermieri mille domande di competenza medica e poi al medico non chiedano nulla (ah, giusto… per non disturbare il Signor Dottore, certo!) Ma l’infermiere corre dietro al medico.
“Dottore, lì deve mettere l’etichetta del paziente. Dovrebbe portare avanti la terapia della signora Rossi, l’antibiotico del Signor Verdi e le gocce per dormire del signor Bianchi. Dottore si ricordi che domani la signora Maria farà la TAC… le ha fatto firmare il consenso? No? Eccolo….”
E intanto suona il telefono… arriva un ricovero improvviso. Perchè nel tal reparto sono finiti i posti letto disponibili, e quindi il signore deve essere mandato in appoggio in un altro reparto. E viene messo a letto, fatto il prelievo, contattato il medico del SUO reparto…. DRIIIIIIIIIIIIIIIN. “Infermiere, la mamma può bere il caffè?”. “Signora un attimo, sono al telefono!”. Arriva un altro paziente dalla sala operatoria. Il Dottore ti chiama per proseguire il giro. Tu hai 2 braccia, 2 gambe, 1 cervello intorpidito… Scaraventi il paziente operato dalla barella al letto, corri nella stanza a fianco a sentire cosa dice il medico al paziente che deve essere dimesso, prendi al volo le flebo, lo sfigmomanometro e il fonendo, due guanti e corri a sistemare il paziente appena operato. “Allora, infermiere, il caffè lo posso dare alla mamma?”. “Sarebbe meglio di no signora. E’ stata operata ieri e ha una sonda nel naso che entra nello stomaco. Non è il caso che beva, tantomeno il caffè” “Va bene, lo chiederò al Medico” (e tu, a quel punto, fai di tutto per non innervosirti perché ti ha fatto perdere tempo e alla fine la risposta non era di suo gradimento… tanto l’infermiere cosa ne sa?). Questo per 7, interminabili, estenuanti ore!
L’opinione comune è che “abbiano una vocazione”, la realtà è che questa “vocazione” viene sfruttata fino alla fine dalle Amministrazioni e ad un certo punto perde valore, significato. Sono belle le parole di stima, di affetto talvolta lasciate dai pazienti soddisfatti. Ci riempiono il cuore. È bello leggere lettere di ringraziamenti, ricevere torte o pasticcini dai pazienti che vengono dimessi e che ti vogliono esprimere gratitudine.
Ma io, infermiere 30enne, con un master, una Laurea in Infermieristica e una in un’altra disciplina scientifica, mi sento privato della possibilità di esercitare la mia professione in quanto infermiere. Mi viene negato di poter lavorare in sicurezza, di poter adempiere ai miei doveri di infermiere, lasciando a personale adeguato e preparato, quello che riguarda l’assistenza di base e di trasporto. I ringraziamenti e le belle parole non sono più sufficienti, purtroppo.
Con stima.
Un Infermiere
Un ulteriore testimonianza della realtà italiana nella quale molti infermiere sono costretti a sopravvivere nella speranza che non accada alcun imprevisto che potrebbe mettere a repentaglio il posto di lavoro del professionista ma soprattutto la salute di molti pazienti assistiti. É davvero questo il modello sanitario che ogni cittadino, infermiere o paziente che sia, merita?
Foti: Varesenews
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