Lettera dal reparto Covid

Siamo i 20enni ( perché a 28 anni nonostante il 30 sia ormai dietro l’angolo, possiamo ancora definirci 20enni..), quella generazione di mammoni, fannulloni e pigri. La generazione dei “laureati in tutto”, senza figli, una casa o una fede al dito. Siamo quella generazione delle mille opportunità e delle poche risorse. Siamo quella generazione che non ha visto la guerra, che poteva sognare qualsiasi cosa e permettersi di essere libera. Libera di viaggiare, di studiare, di non “crescere” effettivamente. Eppure eccoci qui, con non poca paura e senso di inadeguatezza abbiamo detto sì.

Abbiamo risposto ad una chiamata e seppur non consapevoli di quello che ci avrebbe atteso, non ci siamo tirati indietro.

Abbiamo risposto ad una chiamata e seppur non consapevoli di quello che ci avrebbe atteso, non ci siamo tirati indietro. Un po’ per senso del dovere, un po’ per responsabilità, un po’ per avere l’occasione di dimostrare che in fondo non siamo più così tanto bambini. Anzi, siamo donne e uomini a tutti gli effetti e prima che dimostrarlo agli altri, lo stiamo dimostrando a noi stessi. É passato quasi un mese dal giorno in cui abbiamo messo piede qui dentro, eravamo diversi, ognuno con le proprie esperienze e caratteri. Ma la vita ha fatto il suo gioco, ci ha fatti amalgamare ed unire. Ci ha reso una squadra. Ci ha fatto capire che cattiveria e mancanza di rispetto non erano ben accette, che con quella tuta bianca eravamo tutti uguali e il modo migliore per affrontare tutto questo era collaborare. E così abbiamo preso il toro per le corna, abbiamo lasciato la paura a casa e giorno dopo giorno siamo diventati una forza. E abbiamo capito che insieme si può affrontare davvero qualsiasi cosa

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Ci guardiamo indietro con un pò di nostalgia, a quei giorni spensierati che non torneranno più e guardiamo avanti, a quel futuro che non sarà più lo stesso ma che sarà comunque nostro.

E proprio per questo dobbiamo lottare, per riprenderci da questo periodo e costruirci un futuro diverso. Lo dobbiamo ai nostri nonni, a quella generazione che ha vinto la guerra e ha ricostruito uno dei paesi più belli del mondo. Lo dobbiamo a loro che hanno lasciato ai nostri genitori tanti insegnamenti ma che il progresso ha cercato di spazzare via. Lo dobbiamo a chi ora sta lasciando questa terra senza un abbraccio, senza un bacio o una carezza. Dobbiamo innamorarci nuovamente delle cose più semplici, dei gesti più dolci e delle cose più vere. Dobbiamo farlo per far sì che il presente diventi insegnamento per il domani. 

Ed ora più che mai ricordo le parole di mio nonno: “ricorda Loretta che chi torna dalla guerra, se ci torna, ci torna più forte di prima!”. Ecco, magari un giorno anche io avrò i capelli bianchi e le rughe sul viso, e magari anche io sarò seduta sulla mia grande poltrona in salotto, accanto al fuoco acceso, e racconterò a dei piccoli occhi curiosi di cosa sia la guerra, di cosa sia la paura, di come possa rendere le persone migliori. E racconterò di quando eravamo giovani e di come abbiamo lottato senza mollare perché troppi erano i sogni ancora da realizzare. E mi auguro che anche loro facciano di questi preziosi insegnamenti il loro stile di vita, proprio come io lo devo al presente e ai miei nonni

Grazie Ļ.

Redazione Nurse Times

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