Normative

La seconda sezione del Tribunale Penale di Venezia, accoglie la tesi del Prof. Mauro Di Fresco, Presidente dell’A.A.D.I.

Importante sentenza di assoluzione dal reato penale di “Abusivismo della professione infermieristica” emessa del tribunale di Venezia nei confronti di un infermiere dipendente di una cooperativa che esercitava la professione infermieristica presso il Pronto soccorso dell’Ospedale di Mirano (Aulss 13) che pur avendo il titolo abilitante, risultava NON iscritto al collegio Ipasvi.

L’avvocato dell’imputato infermiere, Avv. Paola Bosio convenzionato con l’Aadi, grazie alla tesi del prof. Mauro Di Fresco accolta dai giudici del Tribunale di Venezia (che vi documentiamo di seguito) ottiene l’assoluzione per il suo assistito perchè “manca il decreto che istituisce gli albi per le professioni sanitarie con l’obbligo di iscrizione anche per i dipendenti pubblici”.

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La ratio seguita dai giudici:

“La legge 43/2006 ha istituito gli Ordini professionali, ma avrebbero dovuto essere creati gli Albi per ognuna delle professioni indicate, quindi anche per quella di infermiere professionale, con obbligatorietà d’iscrizione pure per i pubblici dipendenti, però la mancata emanazione del decreto legislativo delegato ha impedito la effettiva attuazione di tale previsione normativa. Consegue che rimane vigente la disciplina di cui al D.Lvo 233/1946, secondo cui l’obbligo d’iscrizione all’Albo è previsto solo per gli esercenti la professione sanitaria, non già per i sanitari che lavorino per la Pa. Pertanto, va ritenuto pacificamente che l’infermiere abbia lavorato, sulla base di un titolo professionale adeguato, idoneo e riconosciuto, quale dipendente (di una cooperativa) e non quale libero professionista per cui non tenuto obbligatoriamente all’iscrizione all’Albo”.

La stessa vicenda ha interessato qualche mese fa, 73 colleghi Modenesi che in seguito a controlli erano risultati sprovvisti dell’iscrizione all’albo professionale Ipasvi e quindi denunciati al tribunale di Modena per “abusivismo della professione infermieristica”, nonostante, anche in questo caso, regolarmente titolati dal punto di vista accademico e regolarmente vincitori di concorso pubblico, vicenda da noi riportata in un nostro precedente articolo (VEDI).

L’AADI, Associazione di Dirirtto Infermieristico del prof. Mauro Di Fresco, prendendo a cuore il caso attraverso i propri penalisti in convenzione decise di occuparsi della loro vicenda giudiziaria. Dal comunicato della segreteria A.a.d.i. riportiamo la tesi del prof. Di Fresco:
“In questo caso non si parla affatto di un sentenza, ma di un decreto a cui non il giudice del dibattimento ma il giudice delle indagini preliminari (neppure il giudice dell’udienza preliminare) ha deciso di multare gli infermieri inaudita altera parte cioè senza sentirli a difesa In realtà la norma a cui si fa riferimento è una legge che avrebbe dovuto stravolgere l’attuale assetto normativo e statutario del collegio degli infermieri (IPASVI), che come espressamente indicato nella stessa legge n. 43 del 2006, avrebbe visto trasformarsi finalmente in Ordine il collegio degli Infermieri, permettendo cosi ai propri associati di poter esercitare anche la libera professione (pur essendo dipendenti pubblici) un po’ per come avviene per i medici, ma che in realtà non è mai stata applicata poiché mancante dei decreti attuativi che la potessero rendere a tutti gli effetti operativa. Per meglio comprendere di cosa stiamo parlando, dobbiamo necessariamente dare una breve ma esaustiva spiegazione di cosa si intenda per decreti attuativi.
In realtà l’espressione Decreto Attuativo è una definizione “non tecnica”, poiché non esiste un istituto nel Diritto italiano che si chiami in questo modo, è un ‘espressione che si usa per indicare “tutti quegli atti che possono essere sia decreti delegati, sia regolamenti, sia atti amministrativi generali, con i quali si dà attuazione a un certo provvedimento legislativo”, poiché molto complesso, particolarmente delicato o farraginoso, è quindi un atto (normativo o amministrativo) che ha la funzione di definire le misure necessarie ad attuare una legge.
E’ un trucco spesso usato dal legislatore, specie quando la disciplina di una certa materia è complessa. In questi casi, quindi, la legge rinvia ad altri atti le scelte di dettaglio o di elevato contenuto tecnico che il Parlamento non è in grado di compiere. I decreti attuativi possono avere una natura molto diversa, a volte può trattarsi di atti amministrativi (per esempio, decreti ministeriali); altre volte di regolamenti (di competenza del Governo o di singoli Ministri); nei casi più importanti, poi, l’attuazione può essere demandata ai decreti legislativi, e cioè ad altri atti che hanno un valore equivalente a quello della legge e che il Governo adotta su delega del Parlamento.
Immaginate quindi in quale coacervo di regole la Legge n. 43/2006 è stata concepita e pubblicata sulla gazzetta ufficiale. Detto questo, è chiaro che se la legge non può essere applicata, di fatto, non può operare e quindi i suoi effetti sono nulli.
Quello che ci premeva come Associazione che tutela l’immagine e la professione infermieristica, era spiegare con parole semplici a cosa sono andati incontro i colleghi di Modena e perché, in virtù proprio di questa carenza di decreti attuativi.

L’AADI sostiene l’iscrizione al collegio IPASVI da parte dei dipendenti pubblici e privati quando l’infermiere intende svolgere attività libero professionale, oggi possibile in maniera occasionale per un reddito autorizzato non superiore a 5.000 euro”.

Ancora dal comunicato Aadi che vi proponiamo in allegato:

“La Suprema Corte di Cassazione è chiara nell’interpretare la legge n. 43 nel senso di obbligare il dipendente pubblico e privato ad iscriversi al Collegio ‘quando vi è libertà nell’esercitare la libera professione’. In poche parole, considerato che in Italia gli infermieri subordinati cioè dipendenti di un datore di lavoro, sono vincolati dal dovere di fedeltà ovvero di esclusività, vige un espresso divieto di esercitare la professione di infermiere al di fuori del proprio ambito lavorativo, costringendo anche i più bravi e meritevoli a occupare il proprio tempo libero, magari standosene a casa a vedere la televisione. ‘Non è razionale lasciare che l’infermiere, sanitario laureato, esista all’interno di un’area contrattuale che regola, invece, arti e mestieri'”.

Tornando sul caso degli infermieri modenesi:

“I 73 malcapitati, non ebbero un processo in contraddittorio perché il sistema delineato dal codice di procedura penale agli artt. 459 e 557, permettono al G.I.P., dinanzi alla prova documentale certa, di deliberare un decreto di condanna penale che però può essere impugnato, stabilendo un processo dibattimentale dove la prova e le argomentazioni possono essere prodotte e costruire in maniera equa e imparziale.


Tra i 73 condannati ci furono 5 soci AADI per cui il Presidente Mauro Di Fresco e il VicePresidente Carlo Pisaniello si precipitarono a Modena per discutere il caso giuridico ed esporre la tesi dottrinale che sosteneva la totale innocenza degli infermieri, soprattutto sulla scorta dell’assenza di un regolamento attuativo della Legge n. 43 che non permetteva all’art. 2 di operare in via precettiva.

Mi spiego meglio, ai colleghi non è stato notificato neanche l’avviso di garanzia, ne nessun altra forma di avviso che facesse presupporre che contro di loro si stava svolgendo un procedimento penale, erano assolutamente all’oscuro di tutto e si sono visti condannare al pagamento della sanzione pecuniaria di euro 250, un po’ per come accade nelle multe del codice stradale, dove prima si riceve la multa e solo dopo se si ritiene di avere ragione si fa opposizione al Prefetto o al Giudice di Pace.
In questo caso, vengono a mancare pertanto sia l’udienza preliminare che il dibattimento e la richiesta motivata del PM va presentata direttamente al giudice per le indagini preliminari “entro il termine di sei mesi dalla data in cui il nome della persona alla quale il reato è attribuito è iscritto nel registro delle notizie di reato” (art. 459 c.p.p.), con l’indicazione della misura della pena.
I presupposti per tale richiesta sono:
• che si tratti di reati perseguibili d’ufficio;
• che sia stata sporta validamente querela, nei reati perseguibili a querela e che il querelante non abbia nella stessa dichiarato di opporvisi;
• che debba applicarsi una pena pecuniaria, anche se in sostituzione di una pena detentiva;
Tale procedimento non è in ogni caso consentito qualora debba applicarsi una misura di sicurezza (fermo o arresto).
Se il giudice accoglie la richiesta, emette decreto penale di condanna senza che l’imputato ne sia minimamente a conoscenza.

Avverso tale decreto, l’imputato e la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria, possono presentare opposizione nel termine di gg. 15 dalla notifica del decreto stesso.
Ed è quello che l’AADI sta facendo in queste ore.
Con l’atto di opposizione l’imputato, può richiedere il giudizio immediato, abbreviato o il patteggiamento.
Se però manca l’opposizione, il decreto di condanna diventa esecutivo, e quindi non più impugnabile, nel caso in cui invece l’imputato procede con l’opposizione al decreto, il giudice è costretto ad aprire un procedimento penale vero e proprio con le parti, i testi e il dibattimento.
Il carattere premiale del decreto di condanna è dato anche dal fatto che non comporta la condanna al pagamento delle spese processuali, l’applicazione di pene accessorie, e non ha efficacia di giudicato dei processi civili ed amministrativi.
Il reato inoltre si estingue qualora l’imputato non commetta un altro reato della stessa indole nel termine di cinque anni, in caso di delitto, e nel termine di due anni, nel caso di contravvenzione.
La domanda sorge spontanea, come mai nella denuncia querela non è stata espressamente fatta menzione alla volontà di non procedere per decreto?
In effetti se si fosse esplicitata la cosa, il PM facendone richiesta al GIP avrebbe dovuto fare istanza di rinvio a giudizio e quest’ultimo verificati gli atti, avrebbe dovuto procedere facendo partire il vero e proprio processo con tanto di contraddittorio tra le parti, testi, perizie ecc…
Ecco quindi svelato l’arcano, i 73 infermieri sono stati condannati per decreto, senza possibilità di difendersi in un aula di giustizia e senza una sentenza di condanna espressa da un giudice a seguito di un contraddittorio tra le parti, cosa che li avrebbe sicuramente scagionati da ogni addebito come è gia avvenuto in passato per altre decine di procedimenti simili.
Quello che in queste ore stiamo tentando di fare è appunto coinvolgere i colleghi condannati ingiustamente a fare opposizione al decreto e a richiedere che venga istruito un vero procedimento penale nel quale il penalista convenzionato con l’AADI potrà confutare le tesi del querelante e del PM titolare del procedimento, chiedendo l’archiviazione perché il fatto non costituisce reato.
Non vi è infatti, un abuso della professione, perché la laurea triennale in infermieristica è di per sé titolo abilitante, la professione e l’eventuale iscrizione al collegio è riferibile solo a coloro che decideranno di svolgere la loro professione come liberi professionisti al di fuori delle aziende ospedaliere o delle cliniche private convenzionate con il SSN.
Rimaniamo comunque in attesa degli sviluppi della vicenda, e informeremo tutti attraverso altri articoli quando tutto si sarà definitivamente chiarito e concluso”.

La posizione dell’Aadi sulla tassa Ipasvi:

“Benché l’A.A.D.I. sostenga concettualmente il pagamento della tassa IPASVI, questa sarà dovuta bonariamente, solo quando la professione infermieristica sarà veramente resa libera e non subirà più i vincoli che, in verità, la legge impone solo ai mestieri.
Siamo una professione ibrida e questa situazione non è più tollerabile; vogliamo giustizia!”

Aadi e legge n. 43 del 2006:

“Benché l’A.A.D.I. sostenga il pagamento della tassa IPASVI, quando la professione infermieristica sarà effettivamente libera dai vincoli imposti dalla legge ai mestieri, e che per strani motivi viene invece imposta anche a noi, benché professionisti intellettuali (art. 2229 C.C.), vogliamo dire la verità: la legge n. 43/2006 non ci piace”.

Questa sentenza, come tutte, va rispettata e riporta ad una delle tante criticità che investono la nostra professione. Sarà un motivo in più per accelerare verso l’istituzione degli Ordini professionali?

La parola passa ora alla politica.

 

Giuseppe Papagni

 

In allegato

Documento Aadi e sentenza del tribunale di Venezia

 

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Giuseppe Papagni

Nato a Bisceglie, nella sesta provincia pugliese, infermiere dal 94, fondatore del gruppo Facebook "infermiere professionista della salute", impegnato nella rappresentanza professionale, la sua passione per l'infermieristica vede la sua massima espressione nella realizzazione del progetto NurseTimes...

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