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La figura dell’infermiere/a nelle fiction: quanto rispecchia la realtà?

Riceviamo e pubblichiamo un contributo di Giuseppe Gervasio, nostro lettore, che propone una riflessione sulle più famose serie tivù di genere medico.

In questi giorni, in Italia, si è tanto parlato della nuova serie televisiva di genere medico dal titolo Lea – Un giorno nuovo, in cui un’infermiera – Lea Castelli, interpretata da Anna Valle – è per la prima volta protagonista. Anzi, sono le infermiere, le protagoniste. Purtroppo solo le infermiere, poiché secondo gli sceneggiatori non esistono infermieri maschi: Florence Nightingale sarebbe fiera di loro. Un prodotto tutto dedicato agli infermieri, un omaggio alla professione infermieristica, un ringraziamento per le gesta dei “nostri eroi”. Addirittura, nel soggetto della serie si parla di un’infermiera specializzata.

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Tutto bellissimo, se non fosse che nelle puntate mandate in onda finora non si vede nessuna delle competenze infermieristiche basilari, figuriamoci quelle avanzate o specialistiche. Non ci sono diagnosi infermieristiche, non c’è costruzione di piani assistenziali, non c’è una presa in carico della persona, non c’è alcun accertamento o valutazione da parte delle infermiere, non ci sono procedure infermieristiche. In compenso, ci sono infermiere che mangiano ciambelloni prima del turno e tirocinanti che cambiano le lenzuola o dormono.

Il mio obiettivo, però, non è svalutare questo prodotto, bensì proporre un ragionamento sulla visione della figura infermieristica, confrontandola con altre realtà televisive e non solo. Sicuramente un primo paragone va fatto con Doc – Nelle tue mani, altra serie medica targata Rai, serie televisiva in cui gli infermieri sono inesistenti, a parte la “caposala” (è troppo difficile la parola “coordinatore”), interpretata da Elisa Di Eusanio, la cui unica vera competenza è chiamare i medici. Non distante da quello che si vede in Lea – Un giorno nuovo: infermiere senza un minimo di autonomia, che devono sbrigarsi quando arriva il medico e sono sgridate da questi con tono saccente e prepotente, in quanto – secondo gli sceneggiatori – un infermiere non può permettersi di proferire parola quando si trova di fronte a un medico.

Entrambe le serie mostrano una gerarchia che nella realtà non esiste. Diciamolo chiaramente: l’infermiere non è un sottoposto del medico. E questo concetto, stranamente, non va ricordato solo ai “laici”, ma anche agli stessi infermieri, in quanto, come consulenti per la sceneggiatura di Lea – Un giorno nuovo, c’erano due infermieri. Due infermieri che, probabilmente, ancora credono che il medico sia un loro superiore.

Fortunatamente, però, esistono cineasti che, prima di realizzare un qualunque prodotto audiovisivo, si informano. Come ad esempio Carlo Verdone, che nel suo film Benedetta follia ci regala Ornella (interpretata da Maria Pia Calzone), infermiera elegante, posata e preparata, che riesce non solo a gestire il paziente in autonomia, ma lo educa e lo segue in un percorso assistenziale. Un’infermiera decisamente vicina a quella che è la realtà sanitaria contemporanea.

E negli Stati Uniti

, invece? Dobbiamo dire che anche nelle serie americane l’infermiere è spesso inesistente, vedi Grey’s Anatomy, The Good Doctor o New Amsterdam. Ma ci sono anche serie come Scrubs, in cui si intravede una collaborazione maggiore tra medici e infermieri, seppur persista ancora l’idea di gerarchia (anche se più leggera). Questo perché Carla Espinosa, interpretata da Judy Reyes, è un’infermiera molto capace, diligente e professionale, che riesce con abilità a ritagliarsi i suoi spazi. E’ rispettata e apprezzata da tutti, tanto che nella quarta stagione è nominata head nurse dell’Ospedale del Sacro Cuore.

Gli americani ci hanno anche regalato serie dedicate totalmente agli infermieri, come ad esempio Nurse Jackie, in cui è molto elogiata la figura infermieristica. Una famosa frase di Jackie Peyton, interpretata da Edie Falco, rende molto l’idea: “I medici fanno diagnosi, gli infermieri curano”. Jackie, personaggio controverso, mostra la visione che gli americani hanno delle infermiere: un po’ stravaganti, molto ironiche, ma capaci di salvarti la vita. Jackie non è proprio un’estimatrice dei medici, quindi talvolta i rapporti non sono idilliaci. Anzi, si evidenzia una vera e propria faida tra medici e infermieri. Ecco perché neanche questa è la serie che offre l’immagine più corretta: perché l’infermiere è sì autonomo, ma collabora con altri professionisti sanitari, tra cui maggiormente i medici.

Per ora la serie che più di tutte si avvicina alla realtà è The Resident. Qui Nicolette Nevin, interpretata da Emily VanCamp, è un’infermiera specializzata (advanced nurse practitioner) che in quanto tale diagnostica, prescrive farmaci e segue l’assistito in tutto il percorso terapeutico-assistenziale. L’infermiera Navin lavora a stretto contatto con i medici, decide insieme a loro qual è il percorso o la terapia migliore, suggerisce diagnosi, istruisce gli specializzandi sulla corretta pratica delle procedure. Medici e infermieri collaborano, si confrontano: quando c’è da prendere una decisione, la si prende insieme; quando c’è da eseguire una procedura, la si esegue insieme.

Questa sarebbe l’immagine che anche l’Italia dovrebbe offrire: non un infermiere sottoposto e sottomesso, ma un infermiere alla pari, competente, che prende decisioni insieme ai medici. E poi, perché no, anche mostrare gli infermieri specialisti: l’infermiere di vulnologia, l’infermiere impiantatore di Picc, l’infermiere ecografista, l’infermiere stomaterapista, l’infermiere ricercatore. Sono convinto che sia possibile, ma il primo passo devono farlo proprio gli infermieri.

Giuseppe Gervasio

Redazione Nurse Times

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