Dalla mattina del 7 ottobre opera senza soste al Pronto soccorso dell’ospedale Soroka di Be’er Sheva, il più importante nel Sud di Israele. Si chiama Tzachi Slutzki, 41 anni, cittadinanza italiana grazie alla madre di Milano, padre di origini polacche, una moglie e tre figli che non vede da 12 giorni.
«Non potevamo immaginare una seconda Shoah, perché di questo si tratta. Sul tavolo operatorio ci hanno portato bambini, anche neonati, in fin di vita feriti da Hamas che aveva prima trucidato i loro genitori. Alcuni di questi bimbi erano coperti di ustioni: sono stati lasciati nelle case date alle fiamme dai terroristi palestinesi. Il dolore è troppo forte e, no, almeno per adesso non riesco a pensare ai medici palestinesi miei colleghi che stanno facendo il mio stesso lavoro negli ospedali dentro la Striscia di Gaza, per adesso no».
«Il Soroka è grande, ben attrezzato, ha una vasta esperienza anche di feriti da armi da fuoco o da esplosivi, ma in poche ore ne sono arrivati 700, un terzo dei quali gravissimi, molti trasportati con auto di cittadini perché le ambulanze non potevano bastare. Ondate su ondate di persone ferite, bendate alla bell’e meglio, tutte in stato di choc: provate a immaginare tanta gente anche in condizioni gravissime sistemata in ogni angolo del pianterreno dell’ospedale. In stragrande maggioranza, ed è questo che ci ha straziato di dolore, si trattava di civili, tantissimi i bambini».
«Solo molto tardi sono arrivati anche soldati dell’Idf (Israelian defence force). Ecco, io pensavo di essere pronto a tutto, sono stato molti anni anche nei reparti medici dell’esercito, ma non potevo, non potevamo essere pronti pronti a tutti quei civili attaccati nella notte e nelle loro case dai terroristi di Hamas. I soldati israeliani non puntano le armi contro i bambini quando entrano in azione contro i terroristi. Da quel giorno, e ora ne sono passati 12, non sono più tornato a casa: con i colleghi ci alterniamo nelle sale operatorie, poi qualche ora sulle brande prima di ricominciare».
«E infatti tra i feriti ci sono anche arabi con i quali conviviamo in pace, con i quali lavoriamo gomito a gomito. Hamas ha colpito anche loro perché quei terroristi temono la pace, temono la convivenza civile che potrebbe permettere anche l’esistenza di due stati. Ma dopo quello che è successo il 7 ottobre si potra parlare di due stati, di convivenza civile, di pace, solo dopo che Hamas non ci sarà più. Da bambino sono stato tante volte nella Striscia di Gaza, ci si andava in gita a trovare amici, ma poi la situazione è cambiata. Ora non riesco a vedere un futuro se Hamas non perderà il potere di scatenare questo orrore».
«Il Soroka accoglie 250mila pazienti l’anno, la metà hanno meno di 18 anni. Abbiamo oltre 1.100 posti letto ed è per questo che tanti feriti sono stati portati di noi. Ma per ogni ferito, e purtroppo non è stato possibile salvare la vita a tutti, c’è un numero enorme di loro familiari che sta affrontando un stress terribile. Stiamo piangendo da 1.500 a 2mila morti israeliani, una cifra devastante: in nessuna delle guerra che ha ha affrontato Israele ci sono state tante vittime fra i civili».
«Abbiamo visto foto, abbiamo parlato con amici e parenti: non si può credere a questa barbarie, a questo crudeltà. Ci sono ancora cadaveri di civili non riconosciuti, ci sono persone che non si sa se sono morte o sono state rapite. Poche ore fa ho saputo che solo grazie all’esame del Dna è stato stato un nome al cadavere di un mio amico: pochi resti carbonizzati in una cosa colonica. Ora tutto il mondo ha visto che Hamas è uguale all’Isis, che non vuole la pace, anzi cerca di evitarla. Come ci si può accanire così contro i bambini? Io sono solo un medico che fa quello che può, non sono un politico, ma sono sicuro che solo la fine di Hamas permetterà di trovare la pace».
«Lo so bene quello che capita nella Striscia, so bene in quali condizioni sono costretti a operare i miei colleghi medici negli ospedali di Gaza, in passato non sono mancati contatti con loro perché per noi i pazienti vengono prima di ogni cosa. Non stiamo mai a guardare a etnie e nazionalità e religioni, anche qui al Soroka curiamo tutti, però adesso ho dentro un dolore troppo forte»
«Non potrò mai dimenticare gli occhi nei neonati o dei bambini di pochi anni che abbiamo operato sapendo che i loro genitori erano stati trucidati da Hamas. Chissà come sarà possibile per quei piccoli crescere con quello strazio, sono ferite che si rimarginano. Così adesso proprio non riesco ad avere sentimenti per un collega che ugualmente opera un bimbo in un ospedale di Gaza. Non adesso, anche se sono certo che Hamas non rappresenta tutti i palestinesi della Striscia».
Redazione Nurse Times
Fonte: Il Messaggero
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