Infermieri e Associazionismo: l’esperienza di Claudia con AMOA (Associazione Medici Oculisti per l’Africa)

Claudia Camelli è una giovane infermiera romagnola, lavora come strumentista di sala operatoria a Faenza per l’AUSL Romagna. Ho avuto il piacere di conoscerla personalmente, grazie al Master in Management del Rischio Infettivo, che entrambe abbiamo frequentato a Parma.

Per puro caso è venuto fuori il tema dell’associazionismo e volontariato, mi sono sempre chiesta cosa spinga un infermiere, a spendere il proprio tempo libero per curare altri pazienti in Paesi poveri e lontani dal nostro…quale migliore occasione se non chiedere a chi questa esperienza l’ha già vissuta?

L’associazione per la quale presta la propria opera Claudia è AMOA (Associazione Medici Oculisti per l’Africa), di cui parleremo in coda all’articolo.

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Foto concessa da Claudia Camelli

Claudia (nella foto la prima a sinistra), cosa spinge un professionista, un infermiere a prestare la propria opera in Paesi così disagiati?

Dieci anni fa ho fatto il mio primo viaggio di cooperazione internazionale, avevo appena terminato la laurea triennale e desideravo fare questa esperienza prima di essere assorbita nel vortice della routine del lavoro.

Allora fui spinta dalla curiosità di conoscere altre culture e dalla passione per i viaggi, oggi a tutto ciò si unisce la consapevolezza di potermi rendere utile e mettere a disposizione degli altri la mia esperienza di strumentista di sala operatoria.

In Senegal, in particolare, sono andata con l’associazione Amoa (Associazione Medici Oculisti per l’Africa) per seguire un progetto di chirurgia della cataratta.

Per noi è ormai routine essere operati di chirurgia della cataratta, in Africa non lo è affatto. Spesso le persone affette da cataratta non sanno nemmeno che è una patologia operabile e vengono visitate dai volontari in fase già molto avanzata, ipovedenti o non vedenti.

Foto concessa da Claudia Camelli

Le tecnologie sono ancora molto arretrate e tuttavia molto costose, pochi possono permettersi di essere operati e ciò comporta ovviamente la cecità. Riacquistare la vista significa davvero molto.

Sia io che il Dott. Gaiba, con cui ho condiviso altre esperienze oltre a quella in Senegal, ricordiamo con affetto la reazione di una signora operata in Tanzania: la mattina successiva all’intervento, quando le è stato sbendato l’occhio, vedendo, era in grado di camminare senza essere guidata, né lei né la figlia pensavano potesse essere possibile, erano incredule, commosse, e noi con loro. Quando accadono episodi del genere capisci davvero il senso ciò di che stai facendo.

E’ più quello che dai o quello che ricevi facendo volontariato, sia in termini professionali che personali?

Senza dubbio ciò che si riceve da queste esperienze è molto di più di quello che si riesce a dare. Ogni esperienza ci cambia, lascia un segno, modifica il nostro modo di pensare, di ragionare e di vedere le cose. Nei viaggi, tutti i viaggi, gli stimoli sono moltissimi e sono momenti estremamente educativi e formativi, a maggior ragione i viaggi di cooperazione internazionale.

Foto concessa da ClaudiaCamelli

Bisogna lavorare con ciò che si ha e secondo le abitudini che si trovano, senza mai dimenticare che si è di passaggio, si è ospiti. L’obiettivo deve essere quello di collaborare con il personale locale ed adeguare le nostre conoscenze alle loro esigenze.

Siamo abituati a lavorare in modo schematico e rigido, seguendo procedure e protocolli, spesso è molto difficile adattarsi, ci si deve mettere in gioco e trovare compromessi per raggiungere i risultati migliori con i mezzi che sia hanno a disposizione.

Attraverso questa grande sfida ci si rende conto che oltre ad essere utili agli altri si sta facendo molto anche per sé stessi: la necessità di adattamento ti permette di scoprire capacità e risorse che non si pensa di avere, si entra in contatto con una parte nascosta di sé.

Per concludere, a chi consiglieresti questa esperienza?

A tutti consiglierei questo tipo di esperienza. In Italia le associazioni che prestano volontariato in paesi disagiati sono davvero molte, ogni professionista può trovare progetti adatti ed affini alla propria esperienza personale e lavorativa.

Non tutte le associazioni richiedono lunghi periodi di soggiorno, sui siti web sono quasi sempre indicati i requisiti richiesti e i periodi di permanenza. E’ importante partire con progetti ben definiti ed obiettivi prestabiliti, diversamente si rischia di trovarsi in difficoltà rischiando di perdere tempo ed energie.

Sono esperienze assolutamente da fare, ti mettono in gioco e a contatto con i tuoi limiti, non sono solo esperienze lavorative, ma anche umane, di vita. Si incontrano persone, storie e vite molto lontane dalla propria quotidianità ed ognuna lascia un segno. Sono ricordi che si portano nel cuore per sempre.

In queste esperienze si ritrovano i veri valori della nostra professione, aiutano a ricordare che al centro del nostro operato c’è “la persona” e l’approccio al lavoro in Italia è diverso al proprio rientro.

Ringrazio Claudia, persona garbata e riservata come poche, per aver voluto condividere con noi quest’esperienza. E per chi volesse saperne di più sulla Associazione qui di seguito alcuni cenni sulla Onlus.

AMOA (Associazione Medici Oculisti per l’Africa) è un’associazione di volontariato costituita nel 1997, iscritta all’anagrafe unica delle Organizzazioni Non Lucrative di Utilità Sociale (ONLUS) dell’Agenzia delle Entrate dal 2008, aconfessionale e senza fini di lucro. È composta da volontari, in gran parte medici e professionisti sanitari che dedicano gratuitamente parte del loro tempo alla cura e prevenzione delle malattie oculari.

AMOA opera principalmente nel territorio africano a favore di uomini donne e bambini senza distinzione di razza e religione con lo scopo di sconfiggere e prevenire la cecità e di riabilitare chi non potrà più riacquistare la vista”.

L’obiettivo primario di AMOA è quello di promuovere la sostenibilità e l’autogestione delle strutture realizzate e l’autonomia professionale del personale sanitario locale. È un modo per evitare le inadeguatezze degli aiuti e sostenere uno sviluppo organico e articolato degli interventi. (www.amoaonlus.org)

Rosaria Palermo

www.amoaonlus.org

 

Rosaria Palermo

Infermiera dal 1994. Attualmente, infermiera specialista del rischio infettivo presso l'ARNAS Garibaldi di Catania. Ho una laurea magistrale e due Master, uno in Coordinamento e l'altro in Management del rischio infettivo. Faccio parte del Direttivo di ANIPIO (Società Scientifica degli Infermieri Specialisti del Rischio Infettivo) dal 2016. Penso che lo scatto nella nostra professione debba essere culturale, prima di ogni cosa. Nelson Mandela diceva che la conoscenza è l'arma più potente di cui gli esseri umani dispongano, ed è ciò che permetterà alla nostra professione di ritagliarsi gli spazi che le competono.

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