Categorie: Normative

Il repechage

…a cura del prof. Mauro Di Fresco

Il repêchage (pronuncia francese: r e p e s c i a s g – significa recuperare, reperire) è un istituto giuridico italiano (ed europeo di origine francese, per questo la giurisprudenza usa spesso il termine in francese), che permette di adibire un lavoratore ad un diverso profilo professionale diverso da quello di assunzione, nel caso in cui debba invece essere licenziato per giustificato motivo oggettivo (non soggettivo o per giusta causa).

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In poche parole attraverso l’obbligo di reperire all’interno dell’azienda un nuovo posto di lavoro, (repechage, appunto) si evita il licenziamento utilizzando il lavoratore per mansioni diverse o equivalenti da quelle che svolgeva in precedenza.

Altre monografie lo fondano sull’art. 13 della legge 20.05.1970 n. 300 che novella l’art 2103 C.C..; quindi, in verità, è fondato sull’art. 2013 che recita: Il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti alla categoria superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte, senza alcuna diminuzione della retribuzione. Nel caso di assegnazione a mansioni superiori il prestatore ha diritto al trattamento corrispondente all’attività svolta, e l’assegnazione stessa diviene definitiva, ove la medesima non abbia avuto luogo per sostituzione di lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto, dopo un periodo fissato dai contratti collettivi, e comunque non superiore a tre mesi. Egli non può essere trasferito da una unità produttiva ad un’altra se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive. Ogni patto contrario è nullo”.

L’art. 2103 viene applicato, oltre che per gli istituti propri (mansioni, spostamento e trasferimento) anche per regolare la possibilità di licenziare il personale per motivi aziendali.

Si pensi ad un’azienda sanitaria (casa di cura, ospedale, ecc.) che debba chiudere un servizio, un reparto per cui potrebbe licenziare tranquillamente gli infermieri perché non più utilizzabili (licenziamento per giustificato motivo oggettivo per attività produttiva, organizzazione del lavoro e regolare funzionamento aziendale), oppure si pensi ad un infermiere a cui sopravvenga una malattia seria, invalidante che lo renda non idoneo alla mansione specifica (ma idoneo sempre a proficuo lavoro, altrimenti andrebbe licenziato senza alcuna possibilità di recupero), anche in questo caso l’azienda potrebbe procedere al licenziamento per giustificato motivo oggettivo (non soggettivo perché il motivo non è disciplinare).

In questi casi, venendo meno l’interesse alla prestazione lavorativa parziale (ridotta per malattia) o assoluta (es. per chiusura di un servizio), la giurisprudenza aveva sempre giustificato il recesso datoriale cioè il licenziamento per giustificato motivo oggettivo (artt. 1463, 1464 C.C.), finché la Corte Suprema di Cassazione, con sentenza a Sezioni Unite (SS.UU.), 07.08.1998 n. 7755, ha ritenuto non più applicabile il recesso datoriale perché non teneva conto dei valori costituzionalmente garantiti della persona umana che prevalgono sull’art. 41 Cost. (iniziativa e libertà economica).

Grazie all’art. 2103 C.C. la Cassazione ha creato il repechage cioè la possibilità di impiegare il lavoratore in altri rami dell’azienda anche demansionandolo.

Di conseguenza anche la contrattazione nazionale ha previsto il repechage.

Nel rapporto di lavoro pubblico, all’art. 6 (Mutamento di profilo per inidoneità psico-fisica) del C.C.N.L. Comparto Sanità 20 settembre 2001, la disciplina del repechage segue queste regole:

  • comma 1. Nei confronti del dipendente riconosciuto non idoneo in via permanente allo svolgimento delle mansioni del proprio profilo professionale ma idoneo a proficuo lavoro, l’azienda non potrà procedere alla risoluzione del rapporto di lavoro per inidoneità fisica o psichica prima di aver esperito ogni utile tentativo per recuperarlo al servizio attivo nelle strutture organizzative dei vari settori, anche in posizioni lavorative di minor aggravio ove comunque possa essere utilizzata la professionalità espressa dal dipendente;
  • comma 2. A tal fine, in primo luogo, l’azienda, per il tramite del collegio medico legale della azienda sanitaria competente per territorio, accerta quali siano le mansioni che il dipendente in relazione alla categoria, posizione economica e profilo professionale di ascrizione, sia in grado di svolgere senza che ciò comporti mutamento di profilo
    ;
  • comma 3. In caso di mancanza di posti, ovvero nell’impossibilità di rinvenire mansioni compatibili con lo stato di salute ai sensi del comma 2, previo consenso dell’interessato e purché vi sia la disponibilità organica, il dipendente può essere impiegato in un diverso profilo di cui possieda i titoli, anche collocato in un livello economico immediatamente inferiore della medesima categoria oppure in un profilo immediatamente inferiore della categoria sottostante, assicurandogli un adeguato percorso di qualificazione. Il soprannumero è consentito solo congelando un posto di corrispondente categoria e posizione economica;
  • comma 4. La procedura dei commi precedenti è attivata anche nei casi in cui il dipendente sia riconosciuto temporalmente inidoneo allo svolgimento delle proprie mansioni. In tal caso anche l’inquadramento nella posizione economica inferiore ha carattere temporaneo ed il posto del dipendente è indisponibile ai fini della sua copertura. La restituzione del dipendente allo svolgimento delle originarie mansioni del profilo di provenienza avviene al termine fissato dall’organo collegiale come idoneo per il recupero della piena efficienza fisica;
  • comma 5. Nel caso in cui il dipendente venga collocato nella posizione economica inferiore ha diritto alla conservazione del più favorevole trattamento corrispondente alle mansioni di provenienza, ai sensi dell’art. 4, comma 4 della legge 68/1999. Dal momento del nuovo inquadramento il dipendente segue la dinamica retributiva del nuovo livello economico conseguito ai sensi del comma 3 senza alcun riassorbimento del trattamento in godimento, fatto salvo quanto previsto dalle norme in vigore in materia di infermità per causa di servizio;
  • comma 6. Al dipendente idoneo a proficuo lavoro ai sensi del comma 1 che non possa essere ricollocato nell’ambito dell’azienda di appartenenza con le modalità previste dai commi precedenti, si applica, in quanto compatibile, la disciplina di cui all’art. 21;
  • comma 7. Sull’applicazione dell’istituto l’azienda fornisce informazione successiva ai soggetti di cui all’art. 9 co. 2 del CCNL 7 aprile 1999;
  • comma 8. Sono disapplicati l’art. 16 del D.P.R. n. 761/1979 e art. 16 del D.P.R. n. 384/1990.

 Parimenti prevede il C.C.N.L. delle case di cure private.

Il licenziamento, quindi, viene attuato in extrema ratio cioè quando l’infermiere non può essere impiegato in altro modo o settore, per cui il repechage è l’unica deroga allo ius variandi di cui all’art. 2103 C.C. che vieta il demansionamento.

In questo caso, infatti, si deve scegliere tra i due mali quello minore, cioè è meglio demansionare che licenziare, anche se parte della giurisprudenza e della dottrina giuridica non sono d’accordo perché ritengono che l’art. 2103 C.C. cioè il divieto di demansionare sia inderogabile, sacrosanto.

Infatti: “La modifica in pejus delle mansioni del lavoratore è illegittima, salvo che sia stata disposta in accordo con il dipendente per evitare il licenziamento o la messa in cassa integrazione, non costituendo violazione dell’art. 2103 C.C. l’accordo con il dipendente che, in alternativa al licenziamento per ristrutturazione aziendale, preveda l’attribuzione di mansioni anche inferiori, e di una diversa categoria con conseguente orario di lavoro più lungo”. – Cass. 22.10.2013 n. 24037.

Tuttavia la normativa contrattuale lo prevede e la giurisprudenza maggioritaria lo tollera, purché il ripiego ad un profilo inferiore risulti da atto scritto del lavoratore, cioè ci vuole il suo assenso. (cfr. Cass. 08.02.2011, n. 3040; Cass. 28.03.2011 n. 7046; Cass. 17.11.2010 n. 23222; Cass. 26.03.2010 n. 7381) altrimenti si configura il demansionamento.

Precisamente, se il lavoratore ha accettato la dequalificazione come extrema ratio per evitare una perdita economica (stipendio), tale patto deve intervenire prima del licenziamento e non successivamente perché le condizioni che legittimano il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, cioè l’impossibilità del repechage, devono sussistere ed essere verificate fino alla data del licenziamento. Il lavoratore non può rientrare in azienda con un patto di demansionamento successivo al licenziamento, altrimenti assumerebbe una ratio ricattatoria e non oggettiva. Nel caso in cui ciò avvenisse, il consenso alla dequalificazione non può essere ritenuto esistente e, anzi, va escluso. – Cass. 18.03.2009 n. 6552.

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