Il pugno precordiale ha qualche efficacia in caso di arresto cardiaco con ritmo defibrillabile?

Il pugno precordiale è una manovra caratterizzata da una singola esecuzione: un pugno, dato con la parte ulnare della mano, che viene impresso nella metà inferiore dello sterno. La forza della manovra viene regolata e limitata sferrando il colpo da una distanza di circa 20 centimetri dal petto.

Questa manovra, molto discussa tra gli esperti in tecniche rianimatorie, in rarissimi casi potrebbe aver permesso di convertire la fibrillazione ventricolare o la tachicardia ventricolare in un ritmo cardiaco efficace. Molto più frequentemente può non avere alcuna efficacia o addirittura causare una conversione opposta, provocando in ultimo un’asistolia.

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Un gruppo di ricercatori australiani ha voluto analizzare i risultati ottenuti dai paramedici del “Victorian Ambulance Service” di Melbourne attraverso uno studio retrospettivo.

Tutti i report degli interventi effettuati su pazienti in arresto cardiaco che riportassero una data compresa tra i mesi di gennaio 2003 e dicembre 2011 sono stati analizzati.

I paramedici hanno seguito le linee guida emanate dall’Australian Resuscitation Council, essenzialmente identiche a quella dell’American Heart Association.

I ricercatori hanno dapprima estrapolato tutti i casi nei quali il paziente avesse manifestato un arresto cardiaco “testimoniato” dagli stessi paramedici e fosse sotto monitoraggio elettrocatdiografico. Successivamente hanno diviso i casi in due sottogruppi:

  • pazienti che hanno ricevuto un pugno precordiale (PT) prima di qualsiasi altra manovra
  • pazienti che hanno ricevuto una prima scarica con defibrillatore e a seguire il PT.

Il protocollo australiano autorizza infatti la somministrazione di PT qualora il defibrillatore non sia immediatamente disponibile.

Sul totale di 424 pazienti sottoposti a monitoraggio cardiaco andati in arresto:

  1. 301 (71%) avrebbero manifestato fibrillazione ventricolare (FV)
  2. 123 (29%) avrebbero manifestato tachicardia ventricolare (TV)

Il PT è stato somministrato a 103 pazienti: 76 dei quali in FV (73,8%) e 27 in TV (26,2%).

Nel gruppo di pazienti ai quali era stato somministrato inizialmente il PT è risultato molto più frequente il riarresto cardiaco mente solo il 16,5% (17 pazienti) avrebbe manifestato una variazione del ritmo cardiaco in seguito a PT.

Non sarebbero emerse sostanziali differenze nelle tempistiche di defibrillazione tra i due gruppi.

Tuttavia, nel gruppo PT è risultato significativamente inferiore il ritorno ad un ritmo cardiaco. I pazienti ai quali è stato somministrato il PT avrebbero manifestato più frequentemente un nuovo arresto cardiaco nell’immediato. Non sarebbero risultate differenze sostanziali per quanto concerna la sopravvivenza al momento del ricovero ospedaliero ne la sopravvivenza al momento della dimissione tra i due gruppi.

In conclusione, i ricercatori hanno potuto stabilite come il PT utilizzato come primo intervento in caso di TV/FV sotto monitoraggio elettrocardiografico raramente permetta una ripresa dell’attività cardiaca. Qualora ciò dovesse avvenire, occorrerebbe preventivare un successivo deterioramento del ritmo cardiaco o un nuovo arresto cardiaco.

Simone Gussoni

Fonte: Journal of Emergency Medical Services

Dott. Simone Gussoni

Il dott. Simone Gussoni è infermiere esperto in farmacovigilanza ed educazione sanitaria dal 2006. Autore del libro "Il Nursing Narrativo, nuovo approccio al paziente oncologico. Una testimonianza".

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