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“Il personale sanitario prima durante e dopo la pandemia: cronaca di un disastro annunciato”

Riceviamo e pubblichiamo un contributo di Giuseppe Saragnese, infermiere dell’ASST-PG 23 Bergamo.

Una frase di Gino Strada mi ha sempre fatto riflettere: “Se siamo membri di una comunità, il diritto a essere curati è un diritto universale che ci appartiene come bene comune, ed è conveniente per la società stessa che venga tutelato”.

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Negli ultimi dieci anni sono stati chiusi 173 ospedali e 837 strutture di assistenza ambulatoriale. Il personale sanitario è diminuito di 63mila infermieri, 15mila medici e migliaia di altri operatori. L’unico indice positivo riguarda il settore privato, che è cresciuto in questi anni grazie ai finanziamenti che gli sono stati elargiti.

Dopo anni di attacchi al pubblico impiego, rinnovi contrattuali sempre più al ribasso, aumento graduale della privatizzazione nella sanità pubblica a opera dei vari governi di Destra e Centrosinistra che si sono succeduti, la pandemia non ha fatto altro che mettere in evidenza anni e anni di tagli alla sanità pubblica e territoriale, senza che sia stato aggiornato alcun piano anti-pandemico.

Cosa dovrebbe averci insegnato la pandemia? Che la centralità della salute è della sanità pubblica: deve essere gratuita e universale per tutti. Che il lavoro di cura del personale del Ssn è indispensabile al funzionamento della società. La dignità di chi lavora contro chi si arricchisce, sfruttando i lavoratori senza condizioni di sicurezza e senza aver rinnovato il contratto di lavoro scaduto ormai da tre anni.

Invece la Legge di Bilancio 2022 toglie nuovamente soldi alla spesa corrente della sanità. Le risorse del Pnrr alla sanità sembrano essere un nuovo incentivo alla sanità privata. Così pure le risorse per il rinnovo contrattuale che sono ancora insufficienti.

In Lombardia, dove l’obbiettivo era mettere sullo stesso piano pubblico e privato, la pandemia ha messo in evidenza tutte le fragilità che questo sistema aveva costruito. Peraltro il governatore Attilio Fontana non ha mai ammesso di aver sbagliato durante la gestione della pandemia. Anzi, ha detto che avrebbe rifatto tutto allo stesso modo. Nella recente relazione di maggioranza della Commissione regionale d’inchiesta, infatti, Fontana e soci danno la colpa al Carnevale, al Governo e all’Oms.

L’ospedale di Bergamo, che ha 1.024 posti letto, di cui 88 di area critica, è stato investito in pieno dall’ondata pandemica, e come tutti gli ospedali all’inizio era a corto di dpi e strumenti per la respirazione artificiale. L’ospedalizzazione per Covid-19 causa assenza di servizi di medicina territoriale e ha fatto sì che il focolaio scoppiasse, nonostante il lavoro instancabile di tutto il personale sanitario, con scarsa sorveglianza sanitaria, costretto a lavorare anche se avevano sintomi. Col risultato che ci sono state numerose perdite tra medici e infermieri, costretti a combattere un nemico sconosciuto e forte.

Già nel mese di marzo 2020, con un articolo apparso sulla rivista New England Journal of Medicine, un gruppo di medici del Papa Giovanni denunciava una situazione gravissima: non si riuscivano a curare tutti i pazienti; il personale era abbandonato a se stesso; l’ospedale poteva essere il pricipale veicolo di trasmissione del Covid. Successivamente fu fatto un documento, firmato da medici e infermieri di parecchie strutture lombarde.

Gli ospedali pubblici riuscirono a fatica a fronteggiare l’esplosione della pandemia, spostando personale da un reparto all’altro. I privati hanno dato uno scarso contributo. Ricordo le parole dell’allora assessore alla Sanità lombarda, Giulio Gallera, che ringraziò le cliniche private per aver prestato le loro lussuose stanze ai pazienti Covid. Dopo la seconda, la terza e la quarta ondata ci saremmo aspettati che il Ssn venisse rafforzato. Dopo due anni, invece, non è cambiato nulla.

Tra il 2020 e 2024 andranno in pensione 35.129 medici, 58.339 infermieri e 38.483 altri operatori (fonte Fiaso). Il ruolo degli infermieri è fondamentale in ospedale e sul territorio. Secondo la Fp Cgil, mancano almeno 140mila Infermieri per arrivare agli standard europei e per garantire una media di 8,8 infermieri ogni 1.000 abitanti. Pochissimi anche i posti per la laurea specialistica in Infermieristica (solo il 7,2 % in più nel 2021 rispetto al 2020).

Nei prossimi mesi il Pnrr in sanità destinerà quasi esclusivamente i finanziamenti alle case e ospedali di comunità. Il fabbisogno di personale dovrebbe essere di 16.200 infermieri e 10.800 figure di supporto. Quello che manca è una reale programmazione del fabbisogno di personale, con salari e stipendi che sono fermi da decenni. Inoltre nel Documento programmatico dei fabbisogni del personale sanitario delle Regioni si parla di fronteggiare la carenza di personale smantellando l’attuale sistema di inquadramento, aumentando la flessibilità, consentendo di fare attività fuori dai reparti di appartenenza, aumentando la libera professione.

Ciò che è successo dopo lo sappiamo, e dopo due anni l’emergenza è diventata ordinaria. Nessun provvedimento in tema di medicina territoriale: le case della salute previste dalla nuova controriforma sanitaria regionale sono solo operazioni di facciata. Recentemente l’assessore regionale alla Sanità, Letizia Moratti, ha inaugurato la Casa della salute di Borgo Palazzo. Hanno cambiato le targhe all’ingresso delle strutture, ma la sostanza non cambia: mancano medici e infermieri. L’importante figura dell’infermiere di famiglia e comunità, se non dotata di una sua funzione e di strumenti per operare, ha poco senso. E purtroppo le mani dei privati sono lì in agguato, ad accaparrarsi tutto.

Il personale sanitario è al collasso, è stressato, ha paura, soffre di ansia e stanchezza. Sono aumentati i carichi di lavoro, e molti sono ricorsi ad assistenza psicologica, che tra gli infermieri ha toccato punte del 70%. Tra le varie difficoltà ci sono quelle di gestire i pazienti in isolamento, fare da tramite con i famigliari e vedere tanti pazienti morti. Per non parlare dei turni massacranti, riposi e ferie negate, infortuni, tamponi e giorni interi trascorsi con i dpi addosso.

Molti medici e infermieri neo-assunti si sono ritrovati a gestire i pazienti nei reparti Covid con pochissima formazione. Si parla di 2.500 infermieri che si sono licenziati. Hanno poi subito un impatto devastante le liste di attesa per le prestazioni sanitarie e la riduzione delle sale operatorie, con il rinvio di interventi chirurgici e visite specialistiche. Nella recente delibera della Regione Lombardia del 21 febbraio vengono stanziati 84 milioni per il recupero di interventi chirurgici e visite ambulatoriali del 110% dal 1° aprile. Ma con quale personale?

Se non si interviene con nuove assunzioni e con la stabilizzazione di personale sanitario, la situazione è destinata ad aggravarsi. Se il sindacato, anche nel rinnovo del contratto della sanità gia scaduto non rialza la testa, non esce dalla sua narcosi permanente e non riprende quel rapporto con i lavoratori che sono stanchi e demotivati, sarà la fine.

Ricordo quello che è successo a Sara Viva Sorge, la giovane Infermiera morta meno di due mesi fa, appena assunta, sottoposta a turni massacranti in una clinica privata della Fondazione San Raffaele in Puglia: doveva gestire 28 pazienti. Anche se denunciato più volte dal sindacato, questo modo di sfruttare i lavoratori, purtroppo, è ancora all’ordine del giorno. Quello che è successo è l’ennesima dimostrazione di una società malata e ingiusta, dove la retorica degli “eroi” suona come una beffa, se non si adottano misure preventive, con interventi sulla sicurezza del lavoro ,riconoscimenti professionali ed economici.

Giuseppe Saragnese

Redazione Nurse Times

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