La mattina del 16 ottobre 1943, mentre avveniva il feroce rastrellamento di massa da parte delle SS a danno di milioni di ebrei stipati in ghetti e brutalmente deportati nei campi di concentramento, decine di persone cercarono riparo all’ospedale Fatebenefratelli di Roma. Queste persone disperate non furono mandate via dai medici dell’ospedale. ma accolte tutte nelle bianche corsie dell’ospedale romano.
Bisognava però trovare un motivo per continuare a trattenerli in ospedale, un motivo credibile alla macchina mortale della Gestapo. E allora cartelle immacolate iniziarono a riempirsi di inchiostro. Le cartelle cliniche di questi sventurati raccontavano come motivo del ricovero: “morbo K”.
Dunque nel 1943, in piena Seconda Guerra Mondiale, al Fatebenefratelli fu istituito un reparto che accoglieva pazienti affetti da una misteriosa patologia, denominata morbo K. Questa sindrome veniva descritta come altamente degenerativa, con sintomi come nausea, vomito, mal di testa, fino a causare gravi convulsioni, paralisi degli arti e, a lungo andare, asfissia e morte.
Il morbo K veniva raccontato come altamente contagioso, e il reparto dedicato ai pazienti affetti da queta patologia era invalicabile. Nemmeno la Gestapo, spaventata da questa terribile contagiosità, oltrepassava la porta che divideva gli ammalati dal resto del mondo, martoriato dalle barbarie naziste.
Il morbo K fu l’unica malattia che, invece di causare decessi, salvò la vita a poveri ebrei condannati a un destino atroce nei campi di sterminio. Il morbo K non esisteva. Era solo un invenzione disperata per tenere in vita decine di ebrei. Consapevoli del rischio che correvano nell’ingannare la Gestapo, i tre medici inventarono una patologia che ricordava per alcuni aspetti la tubercolsi e che aveva come unico effetto tenere lontano gli stivali delle SS dalle corsie dell’ospedale romano.
Quei “finti pazienti” riuscirono a salvarsi tutti. I tre medici si rifiutarono di tesserarsi per il Partito Fascista, e per moltissimo tempo nascosero famiglie ebree in attesa di nuovi documenti. Inoltre nascosero una radio nei sotteranei dell’ospedale per tenersi in contatto con la resistenza.
Con l’arrivo degli alleati l’ospedale riprese la sua normale attività, ricevendo il titolo di “Casa della Vita” dalla Fondazione internazionale Raoul Wallenberg, col patrocinio della Comunità ebraica di Roma e della Fondazione Museo della Shoah. Nel 2004 Giovanni Borromeo fu riconosciuto come “Giusto tra le Nazioni” dall’Ente nazionale per la Memoria della Shoah di Israele.
Tre medici coraggiosi hanno permesso a tante persone di vivere, di avere figli, nipoti. In occasione della Giornata della Memoria dobbiamo ricordare il loro inestimabile coraggio, che comportò anche prigionia e torture al dottor Ossicini, il quale morì all’età di 98 anni, ma non smise mai di affermare che “bisogna sempre, in ogni situazione, stare dalla parte dei giusti”.
Valeria Pischetola
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