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Guardia medica, per la Cassazione non può “scaricare” il paziente al 118

Lo stabilisce la sentenza 2 marzo 2020, n. 8377, richiamando il reato di cui all’art. 328, comma 1 del Codice penale.

Il caso della guardia medica “fantasma” di Tarcento (Udine) riporta in auge la sentenza 2 marzo 2020, n. 8377 della Corte di Cassazione, secondo la quale risponde di omissione di atti d’ufficio il sanitario addetto al sevizio di guardia medica che non aderisca alla richiesta di visita domiciliare urgente, limitandosi a suggerire al paziente l’opportunità di chiedere l’intervento del 118 per il trasporto in ospedale, dimostrando così di essere consapevole che la situazione denunciata richiedeva il tempestivo intervento di un sanitario.

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Una sentenza che ha confermato la pronuncia con cui la Corte di appello di Trento – Sezione di Bolzano, ribaltando la pronuncia assolutoria del Tribunale di Bolzano, aveva ritenuto responsabile del reato di cui all’art. 328, comma 1 del Codice penale (“Il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio che indebitamente rifiuta un atto del suo ufficio che, per ragioni di giustizia […] o di igiene e sanità, deve essere compiuto senza ritardo, è punito con la reclusione da sei mesi a due anni”) un medico in servizio di guardia medica, per essersi indebitamente rifiutato di visitare una malata terminale di cancro in preda ad atroci sofferenze, deceduta dopo circa un’ora dalla richiesta di intervento.

Visita che il medico avrebbe dovuto eseguire ai sensi dell’art. 13, comma 3 del DpR n. 41 del 1991 (“Durante il turno di guardia il medico è tenuto a effettuare al più presto tutti gli interventi che gli siano richiesti direttamente dall’utente, oppure – ove esista – dalla centrale operativa, entro la fine del turno cui è preposto”) e che avrebbe consentito all’imputato “di verificare quale fosse il rimedio più adeguato per alleviare il dolore, anche praticando iniezioni, che rientravano nella sua competenza, con farmaco in fiale diverso dalla morfina”.

La pronuncia della Cassazione ha ribadito il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui l’esercizio del potere-dovere del medico di valutare la necessità della visita domiciliare è sindacabile da parte del giudice penale. La fattispecie delittuosa in questione è stata intravista nella condotta del medico che si limiti a una consulenza telefonica, senza visitare il malato che ne aveva bisogno (Cassazione, Sez. VI, sentenza 12 luglio 2017, n. 43123), o che non aderisca alla richiesta di intervento domiciliare urgente, nella persuasione a priori della “enfatizzazione” dei sintomi denunciati dal paziente” (Cassazione, Sez. VI, sentenza 30 ottobre 2012, n. 23817). Ciò perché il delitto descritto nell’art. 328, comma 1, Cod. pen. è un reato di pericolo che, come tale, postula semplicemente la potenzialità del rifiuto a produrre un danno o una lesione (Cassazione, Sez. VI, sentenza 29 luglio 2019, n. 34535).

Fermo restando che per la sanzionabilità del rifiuto occorre che questo risulti illegittimo, anzi doveroso e assistito dal dolo, e solo come tale sindacabile dal giudice penale, “senza tracimare in valutazioni proprie della colpa professionale sanitaria, che esulano dalla struttura psicologica (dolosa) del reato” (Cassazione, Sez. III, sentenza 6 dicembre 1995, Sonderegger). Ad esempio il Supremo Collegio ha assolto il medico di guardia dal reato di cui all’art. 328, comma 1, Cod. pen. perché questi, pur essendosi recato presso l’abitazione del paziente a fronte della richiesta di una vista domiciliare urgente, ha ritenuto di non poter intervenire in costanza, o comunque nell’imminenza di un intervento medico maggiormente specializzato e a fronte di cure già poste in essere dal personale infermieristico (sentenza 23 maggio 2018, n. 32151).

Redazione Nurse Times

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