L’intervista a Saverio Andreula, presidente dell’OPI di Bari

Come è stata gestita l’emergenza Covid-19 regione per regione? Quali sono state le difficoltà incontrate? Quali le prossime mosse? Nurse Times intervisterà i presidenti OPI per chiederlo a loro. Segue l’intervista a Saverio Andreula, presidente dell’OPI di Bari.

Quale è stato il problema più grande riscontrato nell’ambito della gestione dell’emergenza da parte di OPI di Bari?

Premetto che, in questa situazione di emergenza, il nostro compito è quello di osservare e orientare le decisioni politiche e valutare delle strategie di tutela dei cittadini e degli infermieri. Le cose su cui più ci chiedono di intervenire a livello organizzativo sono quelle riguardanti il bisogno di personale sanitario: il numero di infermieri è di gran lunga inferiore agli standard previsti dalla legge, le figure di supporto sono assenti.

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I problemi sono costituiti da una serie di procedure adottate senza il coinvolgimento diretto degli infermieri.

Poi c’è la questione relativa alla fornitura dei dispositivi di protezione personali, per i quali noi abbiamo aperto un contenzioso abbastanza rilevante con la Regione, con la Protezione Civile regionale: i dispositivi forniti non sono abbastanza e non sono conformi.

Infine, ancora, vi è la mancanza di una sorveglianza sanitaria adeguata. Noi abbiamo sostenuto la necessità di rivolgere agli infermieri dei tamponi, questo perché riteniamo che gli infermieri siano coinvolti in prima linea nella gestione dell’emergenza e come tali possono diventare veicolo di contagio inconsapevolmente.

Avete richiesto un tampone per tutti gli infermieri?

Quantomeno, in via prevalente, a coloro i quali sono coinvolti all’interno del sistema di organizzazione di pazienti Covid-19, in forma preventiva.

Qual è il suo punto di vista in materia di sicurezza sul lavoro?

Nella realtà dei fatti le norme di sicurezza sul lavoro non sono seguite: i dispositivi non sono a norma, le procedure non sono state adottate, i lavoratori non sono stati adeguatamente formati. Questa è una situazione emergenziale, che noi abbiamo registrato ed evidenziato. Non diventa alibi per gli infermieri per non prestare assistenza. Ma, in futuro, ove saranno verificate delle conseguenze in danno degli infermieri, ovviamente, ci muoveremo in tutela dei loro interessi.

Il sistema dei reclutamenti non funziona, capita che la prima assunzione in servizio si venga “sbattuti” in una rianimazione, senza essere stati affiancati o tutelati, senza la formazione dovuta dalla circostanza… è sconcertante. Sono stati fatti dei corsi online, ma niente di più; è venuta meno una attenzione alle misure da adottare. Adesso noi dobbiamo continuare ad andare avanti comunque. E dobbiamo documentare quello che accade.

A proposito di “documentare”, il Centro Studi di OPI Giovani di Bari ha portato a termine una ricerca sui decessi dei medici che la FNOMCeO espone sul proprio sito istituzionale con un approfondimento analitico e di studio dei dati. Quale è stato il motivo che ha condotto allo svolgimento della ricerca?

La ricerca è stata letta come una sorta di provocazione, noi l’abbiamo fatto perché ogni mattina, accesa la televisione, i media riportavano il numero dei medici e infermieri morti per coronavirus

. Ci siamo chiesti quale fosse la fonte della notizia. I dati dei medici e infermieri morti per coronavirus esposti sul sito della FNOMCeO effettivamente combaciavano con quelli riportati dai media, ma non erano approfonditi.

Il nostro studio ha evidenziato un dato importante: nell’elenco erano riportati sia i medici morti a causa del Covid-19 mentre prestavano servizio che quelli deceduti anche a causa dell’anzianità e ormai probabilmente in pensione. Per intenderci, si registrava anche il decesso di un ultracentenario!

L’attenzione ai dati è importante, perché se si riporta un dato relativo alla morte di medici per Covid e questo dato si innesta con altre comunicazioni, come la mancanza dei dispositivi di protezione e tante altre insufficienze, si ha l’impressione che le morti siano state determinate da un certo contesto. Ma la realtà non è questa… Dopotutto, chi è più a stretto contatto con il paziente è l’infermiere, e alla fine sarà solo quando tireremo le somme che faremo vere analisi.

Il presidente della regione Puglia, Michele Emiliano, sta promuovendo in questi giorni l’inziativa di autodiagnosi e telemonitoraggio #accasa. Cosa ne pensa? Crede sarà utile nel contenere l’epidemia?

Preferisco non esprimermi su questo punto, che sia utile o meno. Ma credo che sarà inutile.

Questa è una domanda che abbiamo posto al presidente OPI di Milano, la facciamo anche a lei: avete pensato a qualche tipo di supporto psicologico rispetto a quelle situazioni di stress emotivo che riguardano sia i pazienti che i lavoratori in questi giorni difficili?

La nostra situazione non è per nulla paragonabile a quella della Lombardia. Tuttavia, noi abbiamo accolto con piacere l’offerta che ci è stata data dall’Ordine degli Psicologi di fornire in maniera gratuita supporto psicologico agli infermieri.

Quali sono le previsioni per la “fase due”?

Noi abbiamo un contesto particolare in Puglia, per numero di casi, per evoluzione epidemiologica e per l’organizzazione del sistema legato alle prestazioni di carattere sanitario. Io penso che, se si riesce a contenere i focolai (soprattutto per quanto riguarda le RSA), è un buon punto di partenza il nostro. Credo, inoltre, che fare informazione tra i cittadini, pretendendo l’osservanza più rigida delle regole, ci dovrebbe permettere di ripartire.

Cristiana Toscano

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