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…ecco come pensa un infermiere

Pensieri che descrivono sentimenti attraversando la quotidianità degli infermieri impegnati nelle unità operative, nei servizi d’emergenza, sul territorio, al fianco della gente che si trova ad affrontare un momento particolare della propria vita…ecco come pensa un infermiere. 

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…di Umberto Esposito

La mia allieva preferita

La mia piccola allieva aveva solo dodici anni si chiamava Maria, era la figlia di un nostro collega. Fu ricoverata da noi per una colica addominale di NDD. Lei non metteva il pigiama ma era sempre in borghese. Mi stava sempre appiccicata addosso.Mi seguiva durante la terapia, nelle medicazioni semplici e quando andavo a rispondere a campanelli…

”Umberto Un po’ di pazienza questa ha detto che vuole fare l’infermiera mi diceva il papà!” Non ti preoccupare rispondevo. Ricordo che appena entravo in reparto mi si appiccicava vicino e con quei occhioni blu mi chiedeva: ”Che facciamo umbè oggi?”…Io seriamente rispondevo…preparati facciamo un paio di medicazioni…però devi metterti il camice.!”

Così gli mettevo un camice monouso addosso. Il bello era che quando entravo nelle stanze per medicare cose banali, come appendici…nessuno rideva di lei e lei fiera mi “aiutava” con professionalità, forse la prendevano per un infermiera bassina. Passò quasi una settimana e la mia piccola allieva perse un po’ di quella vitalità che aveva all’inizio. Il giorno dopo entrò in sala operatoria. Io la accompagnai e lei mi tenne la manco sin quando si addormentò.

La piccola Maria non riuscì a finire gli studi per diventare infermiera…ma il padre su mio suggerimento, nel suo ultimo viaggio gli mise una divisa bianca addosso.

Mi è arrivata una lettera, in privato di una ragazza, infermiera che lavora da un anno in una struttura pubblica

…tanti di voi avranno provato l’esperienza di avere come paziente un detenuto piantonato. La prima volta che mi capitò la ricordo bene, era un ladruncolo…come si suol dire da quattro soldi. Entravo con disinvoltura nella stanza praticavo la terapia e qualche volta scambiavo qualche parola. Poi i piantonamenti aumentarono e dal ladruncolo si passò al delinquente più spietato…la metodica non cambiò entravo nella stanza facevo la mia terapia ma non avevo voglia né di scambiare parole, tantomeno risponderà a domande non pertinenti. Non li sopportavo avrei voluto che una volta entrati in sala operatoria non uscissero vivi…ma se ciò non accadeva, il mio dovere era aiutarli a vivere…tanto li consideravo “morti che camminano”. La ragazza mi ha posto un quesito…ci sono passato anch’io: “Come ti comporteresti se ti trovassi un pedofilo piantonato in reparto…uno che ha violentato per anni il figlio piccolino?”

Successe tantissimi anni fa ero anche io alle prime esperienze. Ricordo che fummo chiamati dal primario che ci ricordò, anche se eravamo già forgiati a tutte le esperienze, che quel “signore” si doveva considerare un ammalato come gli altri. Noi ce la mettemmo tutta. Si entrava in stanza, una stanza singola con l’agente che lo piantonava 24 ore su 24 e si procedeva come di prassi, alla terapia. I problemi nacquero con un collega molto più grande di noi padre di tre figli. Capitava che per causa di forza maggiore dovesse rispondere alla chiamata nella stanza; il problema non era quando entrava, ma quando usciva. Cominciava a lavarsi le mani con rabbia, forte come a strapparla, per eliminare qualsiasi traccia che potesse rimanergli appiccicata addosso di quell’essere immondo (così lui lo definiva) sulla sua pelle. Poi sistematicamente buttava via il laccio emostatico e qualche volta se la sua divisa aveva toccato il letto o sfiorato il braccio di quel paziente andava a cambiarsi.

Cercammo di parlargli di convincerlo che noi avevamo solo il compito di assistere tutti gli ammalati; le distinzioni non spettava a noi farle, ma alla legge…era inutile. Alla fine dopo due giorni si mise in malattia e tornò solo quando l’ammalato fu dimesso. “Senti Giovanni, ma se adesso si ricovera un altro pedofilo che fai un’altra settimana di malattia?”
Ciao, piccola è sempre un piacere sentirti…che dire sono un po’ confuso. Non sempre sono riuscito a conciliare quello che questa professione richiede, cioè l’assoluta estraneità delle nostre idee con quello che poi sono le esperienze quotidiane che si presentano. Posso dire le stesse cose che dissi a un collega tanti anni fa: un infermiere deve andare oltre; che siamo cervello quando dobbiamo esserlo e cuore quando lo chiedono. Noi dobbiamo garantire a tutti dignità; sia alle vittime, che ai carnefici… perché noi garantiamo il diritto alla salute. Se i problemi non si affrontano, bisogna solo subirli e se tu non riesci a gestire quello che hai imparato da questa professione…abbandonala! Ma se ti dovesse presentare un problema più grande di te in futuro, che fai scappi di nuovo?

Vanitosa sino alla fine…

Umberto – Tonino potere venire un attimo!”

Noi: “Che c’è?”

“Nonna vuole scendere in sala operatoria col rossetto trucco”

Entriamo nella stanza e Cinzia 89 anni aveva un Baby Doll color rosso truccata con tutti i crismi.

“Signora non dimentichi che noi siamo uomini…lei è bellissima!” Sorrideva vanitosa contenta dei nostri apprezzamenti…”Umberto Tonino mo’ vi ci mettete pure voi come facciamo?” e noi: “Qual’e’ il problema la signora scende così in sala operatoria”

Ci siamo trattenuti due ore in più, niente straordinario l’abbiamo accompagnata in sala operatoria abbiamo spiegato la situazione al primario, nessuno ha riso! Un sorriso di malinconia e rispetto ha accompagnato Cinzia su una barella dove si è provveduto dopo averla addormentata alla routine delle linee guida: smalto, camice, ecc.

Una laparotomia esplorativa solo per avere la conferma di quello che già si sapeva.

Cinzia e’ andata via dopo tre giorni!!

…ogni mattina la nipote le metteva il rossetto sulle labbra e la pettinava.

Enzo era uno dei tanti uomini invisibili

…uomini e donne che vestiti di bianco girano per le corsie degli ospedali. Gli fu diagnosticato un tumore del colon in fase avanzata. Erano passati appena due settimane dall’intervento. Lo vidi arrivare, non era il solito Enzo che partiva in quarta, ma ciononostante cominciò a preparare la terapia, rispondere a campanelli!!

…io lo lasciavo fare, anzi sapevo che quando aprivo bocca riuscivo a farlo ridere per cui non cambiai niente nei miei atteggiamente. Mi diede il solito scappellotto sulla spalla, ma questa volta non mi fece male; in altre circostanze tutte le volte che lo faceva, procurava veri e propri traumi muscolari, perché Enzo era anche questo una massa muscolare.

Erano le 18.30 ero nel corridoio, mi chiamò e mi chiese: ”Umberto ti dispiace se vado via un poco prima, non mi sento molto bene!”

Avrei voluto scherzare, magari dirgli ”Extracomunitario di merda (era nato per sbaglio ad Ancona) ogni scusa è buona per andartene, non lo feci. La cosa che mi venne di dirgli fu: ”Se non te né vai ti prendo a calci nel culo!”.

Era bianco di viso, mi disse come doveva fare per giustificare l’uscita, gli risposi che avrebbe potuto prendere due ore di permesso. Non piansi davanti a lui, come non esternai comportamenti diversi dal solito. Gli dissi semplicemente di andare a casa e riposarsi e ci saremmo visti il giorno dopo.

Ci vedemmo il giorno dopo, mi chiamo la figlia piccolina e mi chiese di andare a casa…poche chiacchiere, prima d dirmi che voleva dormire un po’ perché si sentiva stanco.

Enzo è un piacevolissimo ricordo, un ragazzo coraggioso impregnato d’umanità e dedizione verso il prossimo…un vero infermiere!!

Oggi è successa una cosa carina un ammalato sieropositivo

…persona anziana, dopo che ho medicato la ferita, praticata terapia mi ha sorriso e prendendomi la mano ha poggiato le labbra sul braccio baciandolo e ringraziandomi per la gentilezza dimostrata in questi giorni di ricovero.

L’ho accarezzato e gli ho detto che era mio dovere…la cosa divertente…anzi tragicomica è il fatto che un parente mi ha detto in disparte: “Non vi preoccupate non succede niente col bacio sul braccio!”

…gli ho sorriso e sono andato via.

Alessandro Evangelisti

Ultimo giorno di lavoro in RSA…
Mi ero ripromesso di non piangere, ma come diavolo si fa? L’affetto dei miei vecchietti vale piu di mille parole…è il regalo più meraviglioso che ho mai ricevuto da quando sono infermiere e mi ricorda perché ho deciso di fare questo lavoro…
…e poi quel tramonto visto dall’infermieria, stasera meraviglioso

… sembra sapesse quanto lo apprezzassi, e sembra volermi dire addio!

 Tratti dal web
Giuseppe Papagni

Nato a Bisceglie, nella sesta provincia pugliese, infermiere dal 94, fondatore del gruppo Facebook "infermiere professionista della salute", impegnato nella rappresentanza professionale, la sua passione per l'infermieristica vede la sua massima espressione nella realizzazione del progetto NurseTimes...

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Giuseppe Papagni

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