Diabete mellito di tipo 2: vitamina D ogni giorno migliora valori di emoglobina glicata

Questo il risultato di un recente studio su pazienti curati con metformina dopo tre e sei mesi di trattamento.

Secondo gli autori di uno studio pubblicato su Frontiers in Endocrinology, la somministrazione quotidiana di vitamina D3 orale può migliorare i valori di emoglobina glicata (HbA1c) in pazienti con diabete mellito di tipo 2 (T2D) curati con metformina dopo tre e sei mesi di trattamento.

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Milena Cojic, prima autrice dello studio, e colleghi hanno osservato che i pazienti con diabete di tipo 2 presentano spesso livelli di vitamina D molto bassi e studi recenti hanno suggerito che questa carenza potrebbe svolgere un ruolo importante nella patogenesi del diabete di tipo 2, alterando diversi processi cruciali nello sviluppo del diabete e delle sue complicanze, quali secrezione di insulina pancreatica, insulino-resistenza periferica, persistenza di infiammazione sistemica “sterile” e attivazione immunitaria.

La vitamina D può anche avere un effetto antiossidante attraverso l’inibizione della generazione di radicali liberi. Di conseguenza, “l’integrazione con vitamina D è stata proposta come possibile strumento terapeutico per il diabete al fine di ottimizzare il controllo glicemico e per prevenire le complicanze”. Dal momento che non erano disponibili dati consolidati e conclusivi al riguardo, gli autori dello studio hanno condotto uno studio prospettico, randomizzato, controllato in aperto con un follow up di sei mesi in pazienti di età superiore a 30 anni, con diabete mellito di tipo 2, in terapia con metformina e modifiche dello stile di vita e con un buon controllo metabolico (HbA1c ≤ 7%).

“La somministrazione orale quotidiana di vitamina D proposta dalle linee guida delle Società di Endocrinologia riduce i livelli di HbA1c dopo tre mesi e sei mesi di terapia – hanno concluso gli autori dello studio -. L’effetto della vitamina D sul controllo metabolico e il miglioramento dello stress ossidativo potrebbero avere un effetto promettente se la vitamina D potesse essere mantenuta a un dosaggio ottimale. Sono necessarie ulteriori indagini”, hanno aggiunto, “per valutare le dosi di vitamina D nei pazienti con diabete, in grado di attenuare il rischio di stress ossidativo, quello di sindrome metabolica e di eventi cardiovascolari correlati”.

Obiettivi dello studio – L’obiettivo primario dello studio è stato osservare le modifiche nella resistenza insulinica e nel controllo glicemico, misurati con un modello di valutazione dell’omeostasi (HOMA-IR) e la valutazione dei parametri glicemici (FBG, HbA1c). Endpoint secondari erano la valutazione dei parametri dello stress ossidativo (misurazione della malondialdeide, o MDA, un biomarcatore primario per la perossidazione lipidica), livelli sierici di prodotti proteici di ossidazione avanzata (AOPP) e marcatori di infiammazione (livelli di proteina C-reattiva). Ulteriori endpoint secondari erano anche le variazioni dei livelli di vitamina D nel tempo, la pressione sanguigna, il profilo lipidico, l’indice di massa corporea, i livelli di calcio totale e di calcio ionizzato e il rischio aterogenico.

Disegno dello studio – I 130 pazienti idonei sono stati assegnati in modo randomico 1:1 a due differenti gruppi: 65 pazienti hanno ricevuto, oltre alla terapia standard con metformina, la supplementazione con vitamina D3 per un periodo di 6 mesi, mentre i 65 pazienti nel gruppo di controllo hanno continuato la loro terapia con metformina senza supplementazione di vitamina D3. I pazienti nel gruppo di intervento con livelli sierici di vitamina D inferiori a ≤ 50 nmol/L erano definiti carenti e hanno assunto 50.000 UI di vitamina D3 settimanalmente durante i primi tre mesi. In seguito hanno assunto 14.000 UI settimanali per i successivi tre mesi. I partecipanti al gruppo di intervento con livelli al basale di 25(OH)D >50 nmol/L hanno invece assunto 14.000 UI settimanali fino alla fine dello studio.

Risultati dello studio – Nel gruppo di intervento, i livelli sierici di 25(OH)D sono aumentati significativamente durante il periodo di intervento; nel gruppo di controllo, questi livelli sono aumentati significativamente durante i primi 3 mesi con una riduzione significativa nella valutazione dopo sei mesi. Dopo tre e sei mesi di supplementazione di vitamina D3, i livelli di 25(OH)D differivano significativamente tra i gruppi. I livelli di HbA1c sono risultati influenzati dal gruppo di trattamento e dal momento della valutazione. Nel gruppo di intervento, l’HbA1c è diminuita significativamente dopo tre mesi, anche se si è osservato un aumento significativo tra il terzo e il sesto mese. Dopo tre e sei mesi, sono state notate differenze significative tra i gruppi nella misura dell’HBA1c. Le valutazioni statistiche hanno anche mostrato effetti significativi nel tempo per glicemia a digiuno, pressione sistolica, malondialdeide, colesterolo totale, calcio totale e calcio ionizzato. Non è stata osservata una variazione significativa tra i gruppi o nel corso dello studio per quanto riguarda l’indice di massa corporea.

Limiti dello studio – I limiti dello studio includono la natura randomizzata ma non controllata con placebo della ricerca, l’uso della 25(OH)D ma non di altre forme di vitamina D come marcatori dello stato della vitamina D, l’uso di HOMA IR per valutare la resistenza all’insulina piuttosto che il gold standard proposto del clamp iperinsulinemico-euglicemici, e l’uso dell’immunodosaggio con elettrochemiluminescenza per la misurazione del siero 25 (OH) D piuttosto che il metodo gold standard, la cromatografia liquida con spettrometro di massa. Il fatto che i pazienti afferissero a un unico centro in Montenegro, il clima mediterraneo della zona e l’alimentazione potrebbero avere comunque influito sui livelli di vitamina D al basale.

Redazione Nurse Times

Fonte: PharmaStar

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