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Diabete gestazionale, una dieta sana a inizio gravidanza riduce il rischio

Lo dimostrano diversi studi. L’ultimo è quello realizzato da un team dell’Università di Turku, in Finlandia.

Un’alimentazione sana ed equilibrata nei primi mesi della gravidanza ha l’effetto di ridurre le probabilità di insorgenza del diabete gestazionale. Lo dimostra uno studio pubblicato sullo European Journal of Nutrition da un team dell’Università di Turku, in Finlandia.

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Il diabete gestazionale è strettamente correlato con l’eccesso di peso e può avere conseguenze anche gravi sulla salute del feto, oltre che su quella della futura mamma. “C’è il rischio che il feto cresca troppo, con conseguenti difficoltà al momento del travaglio, il rischio che il neonato possa avere ipoglicemia o difficoltà di respirazione a causa di una insufficiente maturazione polmonare – precisa Agostino Consoli, presidente della Società Italiana di diabetologia (Sid). Queste conseguenze si manifestano, complessivamente, nel 5-7% delle gravidanze con diabete gestazionale”.

Lo studio si è servito dei dati di 351 future mamme in sovrappeso o obese, e i risultati mostrano come un’alimentazione sana all’inizio della gravidanza si traduca in una riduzione del rischio di diabete gestazionale. Al contrario, un consumo maggiore di grassi, in particolare quelli saturi contenuti in burro e strutto, ad esempio, aumenta i livelli infiammatori nell’organismo, favorendo lo sviluppo della condizione.

“Che la dieta mediterranea, i cui pilastri sono pane e pasta integrali, proteine vegetali e fibre (legumi, verdure, ortaggi, frutta) e grassi monoinsaturi (olio di oliva) sia un esempio di alimentazione sana è noto – prosegue Consoli –. Non era ovviamente praticata dalle donne finlandesi, ma è interessante notare che, in questa popolazione, il consumo di vegetali e pane di segale era associato a un rischio più basso. I cibi processati in modo industriale e ricchi in grassi trans (margarine), come dolci confezionati, glasse, patatine fritte, crocchette di pollo, merendine, salatini e alcuni insaccati come i wurstel, sono associati a un aumento di diabete gestazionale e, più in generale, di alterazioni del metabolismo. La buona notizia è che cambiare l’alimentazione nei primi mesi di gravidanza ha risultati positivi. È quindi importante sensibilizzare le donne in dolce attesa”.

La dieta mediterranea contiene tutte le sostanze nutritive necessarie allo sviluppo del feto, oltre che a garantire la salute della mamma. A confermarlo è la ginecologa Alessandra Kustermann, che spiega: “La dieta mediterranea contiene tutti i nutrienti di cui ha bisogno una donna incinta. Se si segue una dieta completa l’uso estensivo di pillole e integratori durante la gravidanza non ha alcun fondamento scientifico. È un errore indotto dalla pubblicità, così come la convinzione della necessità di pulire ossessivamente frutta e verdura con disinfettanti”.

L’unica eccezione è rappresentata dall’acido folico, che aiuta a prevenire alcune malformazioni congenite del feto: “E’ l’unica precauzione di questo tipo che consiglio anch’io. In Italia, in ogni caso, l’incidenza di queste malformazioni non è alta, come invece accade in alcune popolazioni della Gran Bretagna e in Ungheria. È importante non farsi condizionare dagli stereotipi veicolati dai media. Perché possono provocare disagi e addirittura depressione post-partum. I sensi di colpa materni possono nascere non solo dal proprio vissuto interiore, ma anche dalla percezione di una difficoltà di nutrire il proprio bambino”.

In ogni caso, adottare uno stile alimentare adeguato è la chiave per evitare problemi futuri al nascituro. Nutrirsi di cibi grassi e poco nutrienti durante la gravidanza, infatti, può provocare seri danni al bambino. Secondo una ricerca della Rockefeller University, presentata durante il convegno annuale della Society for the Study of Ingestive Behavior, a Denver, mangiare il cosiddetto cibo spazzatura aumenta le probabilità che in futuro i bambini cedano con maggiore facilità al desiderio di alcol e sigarette.

I ricercatori americani hanno sottoposto alcuni topi a una serie di esperimenti, confrontando la propensione alla nicotina e all’alcol di topolini figli di mamme che in gravidanza avevano seguito una dieta a base di cibi grassi con quelli di altri topi femmine che avevano seguito una dieta sana. Ne è emerso che i topi esposti a una dieta grassa prima della nascita hanno cercato di ottenere una dose di nicotina e alcol in misura maggiore rispetto ai topi esposti a una dieta sana.

Anche una ricerca della Southampton University, nel Regno Unito, pubblicata sulla rivista Diabetes, ha preso in esame le abitudini alimentari delle donne in attesa. Il cibo spazzatura può causare alterazioni del Dna e predisporre il bambino all’obesità, anche se la madre non ha problemi di peso. Keith Godfrey, uno dei ricercatori, spiega: “La nutrizione della madre durante la gravidanza può causare importanti cambiamenti epigenetici che contribuiscono al rischio della prole di sviluppare l’obesità durante l’infanzia”.

In realtà, anche la costituzione della madre è importante per la salute del piccolo. Infatti la mortalità neonatale aumenta in maniera significativa se la donna incinta è obesa. Ad affermarlo è una ricerca pubblicata sulla rivista Human Reproduction, che ha analizzato l’indice di massa corporea di oltre 40mila donne in attesa, scoprendo che quelle che mostravano un Bmi (Body mass index) superiore a 30 trasmettevano al bimbo un tasso di mortalità di 16 ogni mille parti, dato che si dimezzava se il Bmi rientrava nella forbice 18,5/24,5.

Uno studio dell’Università di Newcastle ha dimostrato inoltre che la mortalità neonatale aumenta anche se la donna è sotto peso, evidenziando infine un indice di massa corporea ideale di 23. Ruth Bell, la coordinatrice della ricerca, spiega: “Questo dimostra che è necessario dare tutto l’aiuto possibile alle donne per perdere peso prima della gravidanza e dare al bambino le migliori chance di vita”.

Del resto, una ricerca precedente del King’s College aveva già messo in luce i rischi legati a un peso eccessivo. In questo caso ricercatori hanno analizzato i dati di 385 donne obese incinte del loro primo figlio, riscontrando che queste persone rischiavano di più l’eclampsia e le nascite premature rispetto a quanto avveniva per le gestazioni delle donne normopeso. Scendendo nel dettaglio, le mamme “extralarge” hanno probabilità quasi doppie di partorire un bimbo sottopeso (meno di 2,5 kg alla nascita).

Come riporta la rivista American Journal of Obstetrics and Gynaecology, che ha pubblicato la ricerca scientifica, sono stati prelevati campioni di sangue da 208 donne, per compiere altre analisi. Risultati ulteriori dello studio indicano che il 18,8% dei figli di mamme obese era sottopeso alla nascita, contro il 10% dei bebè di donne normopeso. Inoltre i tassi di pre-eclampsia sono risultati più alti nelle obese alla prima gravidanza (11,7%), rispetto a quelle che avevano già partorito (6%) e alle donne che rientrano nella norma (2%). Infine, i nati prematuri da signore troppo grasse sono risultati quasi il doppio della media nazionale inglese (11,9%).

Per Lucilla Poston, ricercatrice principale dell’indagine del King’s College Hospital e del St. Thomas’ Hospital, è inconsueto l’alto numero di nascite di bimbi sottopeso nella popolazione femminile obesa, dato che normalmente queste donne partoriscono figli in sovrappeso. La dottoressa ritiene preoccupante anche l’alto numero di casi di pre-eclampsia tra le mamme obese, essendo questa una grave complicanza della gravidanza, che può portare alla morte della partoriente o del bambino. Tra i pericoli derivanti da un parto prematuro e da un basso peso alla nascita sono ricompresi possibili danni cerebrali del feto, difficoltà respiratoria, problemi nell’apprendimento e una notevole vulnerabilità alle infezioni.

Redazione Nurse Times

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