Il 22 dicembre 2017, dopo interminabile travaglio – colmando il vuoto normativo funzionale alla parziale applicazione della legge 43/2006 – con la conversione del Ddl (Atto 3868 - 1324-b) “Delega al Governo in materia di sperimentazione clinica di medicinali, nonché disposizioni per il riordino delle professioni sanitarie e per la dirigenza sanitaria del Ministero della salute”, viene alla luce la Fnopi, la Federazione nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche.
Col suo 64% sul totale, rappresenta l’ordine nazionale – nel novero delle professioni sanitarie – più grande in quanto a numero di iscritti.
Una norma che equivale ad una sorta di “stargate” poiché, frangendo anacronistici argini, schiude ad una nuova epoca una professione troppo a lungo considerata in “corso di apparizione”.
Una “garanzia” ordinistica che, al pari di altre professioni intellettuali – nell’alveo di una sorta di sistematico accreditamento, circa la competenza professionale ed il “contegno etico” – promuoverà una tutela, non tanto e non solo dei professionisti, ma anche e soprattutto degli assistiti, attraverso una costante e mai abbandonata vigilanza da magistratura interna, ma anche attraverso la maggior rilevanza dei codici deontologici.
Nel suo “cronico” viaggio verso “futura rivelazione”, la professione infermieristica ha incontrato, con la nuova norma, un sussulto evolutivo.
Ancorando – al pari di ogni altra – il suo successo al riconoscimento sociale, dopo il passaggio legislativo a rango di dignità intellettuale, peraltro già riconosciuto con Decreto 14 settembre 1994 n. 739, per poter adire alla medesima visibilità che si ha in realtà anglosassoni e nordamericane, la nostra professione oggi necessita del debito e proporzionato riconoscimento economico.
Nella coralità del comprensibile trionfalismo, la S.I.S.I.S.M. (Società Italiana di Scienze Infermieristiche in salute Mentale), nata dalla iniziativa di Andrea Gargiulo, attuale presidente, non può, con orgoglio, che plaudere al risultato epocale raggiunto, anche ripensando all’apporto offerto dal proprio settore alla storia evolutiva della professione, attraverso taluni fondanti momenti:
Virginia Henderson (1968) affermava: “… la qualità delle cure infermieristiche dipende da chi le offre”. Aggiungiamo altresì che, quali professionisti “intellettualmente riconosciuti”, per poter operare una corretta sintesi si deve – passando per una auspicabile capacità sinottica – compiere una altrettanta corretta analisi, nella comprensione e talora “decifrazione” dei bisogni dell’assistito.
Ed ancora, la S.I.S.I.S.M. sottolinea – dichiarandosi pronta ad affrontare i futuri impegni evolutivi – l’importante ruolo del professionista infermiere del settore della salute mentale, potendo attingere, culturalmente, per evidenti ragioni, tanto alle scienze naturali, al pari di altri colleghi, quanto alle scienze umane.
Legame, questo ultimo, che consente a coloro che sono impegnati in questo ambito della medicina, di dedicarsi non solamente al rigore della conoscenza, imposto dalle ferree regole delle discipline matematizzanti, ma anche – a profondo vantaggio degli assistiti – a quella profondità della “introspezione”, dove si palesa la questione “ermeneutica della alterità” con la sua possibilità della comprensione del non-io.
Anche attraverso queste riflessioni “filosofiche”, che investono la concettualità dell’infermieristica – non solo psichiatrica – è plausibile garantire una assistenza coerente e proporzionata alla intellettualità della professione.
Gianfranco Tamagnini
Direttivo S.I.S.I.S.M.
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