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Daniela Poggiali a Mattino Cinque: “Le foto? Per stemperare la tensione”

L’ex infermiera killer di Lugo, Daniela Poggiali, è intervenuta oggi a Mattino Cinque. Dopo aver commentato la sua assoluzione in appello e le foto che la ritraggono col cadavere di una paziente, ha dichiarato:  "Mi piacerebbe tornare a fare l’infermiera, se me ne sarà data la possibilità”

L’ex infermiera killer di Lugo, Daniela Poggiali, è intervenuta oggi a Mattino Cinque. Dopo aver commentato la sua assoluzione in appello e le foto che la ritraggono col cadavere di una paziente, ha dichiarato:  “Mi piacerebbe tornare a fare l’infermiera, se me ne sarà data la possibilità”

Questa mattina, 11 settembre 2017, presso il salotto di Federica Panicucci su Canale 5 è intervenuta in collegamento Daniela Poggiali, l’oramai ex infermiera killer di Lugo. La 45enne, assolta in appello (VEDI articolo), non appena uscita dal carcere aveva dichiarato un liberatorio: “Finalmente posso dire a tutti cosa io non sono”.

Ed è proprio da qui che la conduttrice di Mattino Cinque ha iniziato la sua breve intervista. Così un secco “Che cosa non è, lei, Poggiali?” ha raggiunto quella interlocutrice dalle guance scavate, dai capelli sparati fuxia e dallo sguardo provato da ben 1003 giorni di carcere.

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“Sicuramente non sono quel serial killer per il quale sono stata dipinta in modo veramente orribile dalla carta stampata di tutto il mondo. Finalmente posso dire che giustizia è stata fatta, perché io non ho ucciso Rosa Calderoni. La Corte d’appello di Bologna mi ha assolta perché il fatto non sussiste, non che la Poggiali Daniela non l’abbia commesso”, ha risposto seria e concentrata.

Intervista di Daniela Poggiali, ex infermiera “killer” di Lugo, a Mattino Cinque.

Ma al di là della recente assoluzione, a Mattino 5 (e probabilmente in tutta Italia) vogliono che la Poggiali commenti in diretta quelle ignobili e macabre fotografie, che la ritraggono sorridente e divertita accanto al cadavere di un’altra anziana donna deceduta in ospedale. Per darle la possibilità di spiegarsi. Di spiegarle. E magari di provare a convincere gli spettatori che non si trattava di nulla di così malvagio.

“Innanzitutto chiariamo che non sono selfie, come è stato detto, ma sono proprio degli scatti fotografici fatti da una mia ex collega di lavoro. Sono due scatti fotografici brutti, irrispettosi, immorali, per i quali io ho già pesantemente pagato con il licenziamento dal posto di lavoro. Mi sono scusata tramite il mio avvocato con i familiari della signora. Di più non posso fare, se non dire che nel mio particolare contesto lavorativo, dove lavoravo in quel periodo, molto stressante, soprattutto a livello emotivo, dove sei sempre a contatto con la morte, la sofferenza, tutti i giorni, il dolore uno può fare un atto che può sembrare stupido, immorale e irrazionale. Ma non c’è niente di malvagio, come hanno voluto far passare. Quei due scatti sono due scatti brutti, intimi, fatti da una collega a me, ma che rimangono lì, senza…”

Panicucci la interrompe: “ma quel pollice alzato cosa significa, Poggiali?”

“…ma… guardi… l’ho riguardato anche io tante volte, quello scatto là. Ehm… non so, è stato fatto così, in un momento in cui io scherzavo con la mia collega e lei scherzava con me. Non ci siamo rese conto neanche noi, sinceramente, che stavamo facendo una cosa brutta. È venuto così…”

È venuto così. Una cosa normale, quindi. Una delle tante. Routine. Abitudine.

 “No, non è un’abitudine, scherzare. Quando fai una professione, infermieristica e medica, devi comunque cercare il modo per allontanare un po’ il dolore, per non portartelo sempre dentro e a casa. Perché altrimenti rischi di essere sopraffatto da questo dolore. .. è un modo per stemperare un po’ la tensione

che c’è, veramente a livelli allucinanti nei reparti di medicina e non solo…”

Questa storiaccia era iniziata l’8 aprile 2014, quando partirono le indagini in seguito ai sospetti di alcuni colleghi di lavoro della Poggiali. Da lì in poi arrivò l’arresto, corroborato da una condanna unanime dell’opinione pubblica e dei media, complici quegli scatti che ritraggono la Poggiali sorridente accanto al cadavere di una povera paziente.

Detenzione poi confermata con la condanna in primo grado all’ergastolo dell’11 marzo 2016. Nelle motivazioni della sentenza il giudice scrisse: È fredda, intelligente e spietata. Nemmeno lei sa quanti pazienti ha ucciso, riferendosi a decine di altre morti sospette. Morti per cui, però, non c’era nessuna prova tangibile.

Poi è arrivata la sentenza della Corte d’Assise d’Appello che, in data 7 luglio 2017, ha praticamente ribaltato tutto: una perizia, confutando il fatto che la Calderoni fosse morta per un bolo di potassio, ha difatti dato il via all’assoluzione piena dell’infermiera in quanto “il fatto non sussiste”.

Perciò dopo essere stata demolita per ben tre anni (di carcere) con appellativi come “serial killer” e “angelo della morte”, la donna è stata dichiarata innocente. E per lei si sono aperte le porte della casa circondariale… la fine di un orrendo incubo.

Almeno per il momento. Eh sì, perché ora bisognerà capire se la Procura Generale ricorrerà o meno in Cassazione… e se sarà perciò opportuno aspettare il terzo grado di giudizio, per scrivere la parola “FINE” su questa triste, assurda vicenda.

Sul capo di Daniela Poggiali, comunque, pendono anche altre cosette. Come una richiesta di rinvio a giudizio per il decesso di un altro paziente (Massimo Montanari, 95 anni); l’infermiera è poi in attesa che dell’appello per un altro processo, che la vede imputata per furto ai danni di pazienti ricoverati e che in primo grado l’ha vista condannata a 4 anni e nove mesi; è anche accusata anche di tentato furto e appropriazione di farmaci. Ma lei è serena e ottimista:

“In merito a questo dico che aspetto serenamente il decorso della giustizia, io mi sono sempre difesa nel dire che sono innocente, per questi capi d’imputazione e rimango serena e… perché non ho fatto quello di cui mi viene contestato. Nient’altro. Io non ho rubato, io non ho dato lassativi di proposito, io non ho fatto tutto quello di cui sono stato accusata in quel momento e aspetto che la giustizia faccia il suo corso. Adesso ho avuto giustizia a Bologna per il caso di Rosa Calderoni, credo serenamente che l’avrò anche per i procedimenti successivi.”

Il gelo vero, però, nello studio Mediaset, è arrivato quando la conduttrice le ha rivolto un’ultima, emblematica domanda: Lei vuole tornare a fare il suo lavoro?

Mi piacerebbe molto, sì. Perché l’ho sempre fatto e… l’ho sempre fatto anche molto bene. Sì, mi piacerebbe tornare a farlo, se mi sarà data la possibilità”.

Quegli scatti non faranno di lei un’assassina, questo sì.

Ma non fanno di lei neanche una infermiera degna di tale nome e titolo.

 

Alessio Biondino

Fonte: Mattino Cinque dell’11/09/2017

Redazione Nurse Times

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