In questi giorni si sono succeduti numerosi proclami tesi a fornire rassicurazione alle Organizzazioni sindacali ed ai lavoratori precari della sanità che maturavano il requisito della stabilizzazione nell’anno 2020.
Il testo finale del Decreto “Rilancio” pubblicato in gazzetta ufficiale il 19 maggio 2020, ha visto cancellare la norma che andava a modificare il presunto contrasto normativo tra il comma 11 bis inserito dalla legge n. 160 del 28 dicembre 2019 art. 1 comma 466 e il combinato disposto dei commi 1 e 11 dell’ 20 del Dlgs 75/2017 (secondo le modifiche apportate dal Decreto “Milleproroghe”), che esclude dalla platea del personale da stabilizzare per l’anno 2020 il personale medico, tecnico-professionale e infermieristico, dirigenziale e non del Servizio sanitario nazionale.
La Regione Puglia rispetto ad altre Regioni, si è invece trincerata dietro interpretazioni restrittive della norma, chiedendo un chiarimento interpretativo al Governo.
Non possiamo tollerare una così palese difformità di trattamento tra precari della sanità nelle varie Regioni d’Italia che, oltre che in contrasto con i principi comunitari secondo gli insegnamenti della Corte di Giustizia e della Corte EDU sulla discriminazione, è in palese contrasto anche con quanto previsto dal principio di uguaglianza dalla nostra Carta costituzionale e nello specifico dall’art. 3 secondo il quale tutti i cittadini hanno pari dignità e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
La Regione Puglia, inoltre, con la nota esplicativa prot. n. A00S/16-04-2020 n°412 del 16 aprile 2020, interpretando il D.lgs. 75/2017 e la Circolare della Funzione Pubblica n. 3/2018, ha inteso escludere dal computo dei 36 mesi per il raggiungimento del requisito della stabilizzazione, i periodi svolti tramite incarichi a tempo determinato a chiamata diretta.
L’unica condizione imposta dalla norma era quella che il lavoratore precario, oltre ad aver raggiunto 36 mesi di servizio anche non continuativi negli ultimi 8 anni, fosse stato reclutato tramite una procedura selettiva a tempo determinato anche per soli titoli e fosse stato inserito in una graduatoria concorsuale.
Non può essere certamente attribuita al lavoratore la colpa dell’inefficienza della Pubblica amministrazione o della carenza di operatori della sanità da reclutare, se una ASL in assenza di avvisi pubblici per il reclutamento del personale a tempo determinato o di personale disposto ad accettare incarichi a tempo determinato, ha reclutato personale con carattere d’urgenza tramite chiamata diretta per garantire i LEA e non fermare il motore della sanità.
Una tale condizione crea una disparità di trattamento e una discriminazione vietata dalla direttiva 1999/70/ce e nello specifico dalla clausola 4 (principio di non discriminazione) tra i lavoratori precari appartenenti al personale medico, tecnico-professionale e infermieristico, dirigenziale e non del Servizio sanitario nazionale e i lavoratori “comparabili” precari della precedente stabilizzazione che si sono visti trasformare il rapporto di lavoro da determinato a tempo indeterminato (punto 71, causa C‑331/17 della Corte di giustizia dell’Unione europea).
Vale la pensa rimarcare che solo la Stabilizzazione del personale precario, così come rimarcato dalla Corte costituzionale e dalla Corte di Giustizia (sentenza Rossato) raggiungendo il lavoratore il così detto “bene della vita” con la sottoscrizione di un contratto a tempo indeterminato, è in grado di cancellare le conseguenze dell’abuso.
Alla politica dico basta proclami, si stabilizzi subito il personale precario!
Dott. Pierpaolo Volpe
Esperto di precariato pubblico
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