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Crisi di iscrizioni a Infermieristica, un paradosso: tra crescente domanda di professionisti e disinteresse sociale

Di seguito un interessante contributo a cura di Antonello Cocchieri, ricercatore presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, abilitato alle funzioni di professore di seconda fascia in Scienze infermieristiche. Alla stesura hanno partecipato il dottor Cesare Manuele, la dottoressa Elena Cristofori e il gruppo di ricerca “Nursing and Public Health”, coordinato dallo stesso Cocchieri.

La crisi delle iscrizioni al corso di laurea in Infermieristica è un campanello d’allarme che non possiamo più ignorare. In un momento in cui il nostro Servizio sanitario nazionale soffre già di carenze strutturali, con un fabbisogno di oltre 60mila infermieri, il calo degli iscritti rappresenta una vera e propria emergenza. Nonostante la recente pandemia abbia messo in evidenza il ruolo fondamentale degli infermieri, paradossalmente l’interesse dei giovani verso questa professione continua a diminuire.

Siamo di fronte a un paradosso: la domanda di infermieri continua a crescere, ma il numero di candidati diminuisce progressivamente. Negli ultimi tre anni si è osservato un calo significativo, con una riduzione delle nuove iscrizioni che, in alcune regioni, ha raggiunto il 15%. Sebbene parte di questo declino possa essere attribuita alla diminuzione della popolazione giovanile, riteniamo che il problema vada oltre i semplici numeri: è presente un profondo disallineamento tra il crescente bisogno di assistenza sanitaria e la capacità del sistema formativo di attrarre e preparare nuovi professionisti.

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Affrontare un paradosso significa riconoscere che esso svela una limitazione concettuale, richiedendo un cambiamento del contesto o dei presupposti che l’hanno generato. In ogni caso è essenziale identificare quali regole risultino inadeguate e necessitino di revisione, proponendo al contempo un quadro concettuale che possa superare tali limiti.

Una delle regole inadeguate è la percezione sempre meno attrattiva della professione infermieristica. Il riconoscimento sociale di questo ruolo rimane ai margini del sistema sanitario e l’immagine eroica attribuita agli infermieri durante la pandemia è rapidamente svanita, lasciando spazio a un silenzio mediatico che ha dimenticato velocemente i suoi protagonisti. Questo riconoscimento temporaneo non ha portato a un miglioramento tangibile delle condizioni lavorative, creando un divario tra l’importanza percepita durante l’emergenza e la realtà quotidiana della professione.

Ma la distanza dell’infermieristica dal mondo giovanile è influenzata anche da fattori che richiedono una riflessione antropologica. Nelle società occidentali moderne, esiste forse uno “scotoma culturale” che rende sempre più complesso per i giovani affrontare temi come la malattia, la sofferenza e la morte. Questa distanza emotiva e culturale potrebbe rappresentare un’altra regola inadeguata che contribuisce al crescente disinteresse verso le professioni di cura, come quella infermieristica. Questa variabile culturale meriterebbe uno studio approfondito, poiché potrebbe offrire una delle chiavi per ripensare l’intero sistema concettuale.

Un’ulteriore regola inadeguata riguarda la disconnessione tra la formazione e il mondo del lavoro. La formazione infermieristica in Italia si basa su una preparazione di base (laurea triennale) che dovrebbe fornire gli strumenti necessari per operare in qualsiasi contesto assistenziale. Tuttavia, spesso questa preparazione non corrisponde alle effettive esigenze del mondo lavorativo, generando nei professionisti un senso di inadeguatezza. Quando, poi, un infermiere decide di intraprendere una formazione avanzata per operare in contesti specialistici, il mercato tende a non valorizzare tali competenze. Il mancato riconoscimento dei percorsi di specializzazione contribuisce ulteriormente al calo di interesse verso professione.

In altri Paesi gli infermieri specializzati ricoprono ruoli di responsabilità ben definiti, mentre in Italia queste figure restano spesso ai margini, prive di un riconoscimento formale delle loro competenze. Questo genera una crescente frustrazione tra i professionisti, che vedono le loro abilità sottoutilizzate e non adeguatamente valorizzate.

Di conseguenza sempre più infermieri italiani scelgono di trasferirsi all’estero, attratti da salari più elevati e migliori condizioni lavorative. Questo fenomeno non solo priva il nostro sistema sanitario di professionisti competenti, ma crea un circolo vizioso: la carenza di infermieri si aggrava, rendendo le condizioni di lavoro in Italia ancora più difficili, mentre il Paese continua a investire nella formazione di professionisti, senza poter attuare efficaci politiche di retention.

In molti casi un paradosso nasce da una limitazione della nostra prospettiva. Per superare questa visione ristretta, è fondamentale riconoscere concretamente le competenze infermieristiche nel mondo del lavoro, rafforzare il legame tra cittadino e infermiere e lavorare sul cambiamento della percezione pubblica del ruolo. Tuttavia la risoluzione del paradosso formativo richiede interventi sistemici a più livelli: dalla riforma della formazione, al miglioramento delle condizioni lavorative, fino a un cambiamento della percezione sociale della professione.

Solo un approccio coordinato, un impegno condiviso e una visione lungimirante potranno affrontare efficacemente il problema, garantendo un futuro solido per la professione infermieristica e assicurando al sistema sanitario la capacità di affrontare le sfide future con competenza e sostenibilità.

Dott. Antonello Cocchieri
Dott. Cesare Manuele
Dott.ssa Elena Cristofori
Gruppo di ricerca “Nursing and Public Health”

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