Coronavirus, studio Humanitas su 4mila dipendenti in Lombardia: il 15% ha gli anticorpi

L’obiettivo dell’indagine è comprendere la risposta immunitaria (IgG) tra i professionisti in servizio nelle strutture del gruppo. I test saranno ripetuti fino a maggio 2021.

Capire lo sviluppo della risposta immunitaria (IgG) a Covid-19 tra i professionisti in servizio nelle strutture lombarde del gruppo Humanitas (medici, infermieri, operatori socio sanitari, tecnici, ma anche personale di staff). Questo l’obiettivo di COVID Care Program, dal quale sono emersi risultati che aiutano a comprendere meglio come e dove il virus sia circolato, quante persone siano state realmente esposte e, in ultima analisi, quale livello di immunità di gregge potremmo aver raggiunto.

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“Lo studio – spiega Alberto Mantovani, direttore scientifico di Humanitas e professore emerito di Humanitas University – vuole contribuire allo sviluppo delle conoscenze sulla risposta anticorpale e sulla correlazione tra questa e la protezione dal virus. Un lavoro che si distingue per dimensioni e perché dedicato a una popolazione specifica come quella ospedaliera. Ne emerge che l’ospedale, se ben protetto, può essere un luogo sicuro per i pazienti e per chi ci lavora. I dati evidenziano inoltre come la diffusione del virus tra il personale delle diverse strutture sia in linea con la situazione del territorio di appartenenza”.

Lo studio, su base volontaria, inizia con un prelievo di sangue per la ricerca di anticorpi IgG anti-SARS-Cov2 (analisi sierologica) e da un’analisi anamnestica, cui segue, in caso di presenza degli anticorpi, un tampone per la ricerca del virus. Con la fine di maggio si conclude la prima fase dello studio, che prevede una partecipazione articolata in quattro fasi per la durata complessiva di un anno. I test sierologici saranno quindi ripetuti ad agosto, a novembre 2020 e infine a maggio 2021.

“Abbiamo testato e misurato la presenza di anticorpi IgG contro SARS-CoV-2, che rappresentano la traccia del contatto con il virus e potrebbero avere un ruolo protettivo, in 3.985 persone – spiega Maria Rescigno, ricercatrice di Humanitas e docente di Humanitas University, che ha coordinato Covid Care Program –. Tutti professionisti di ospedali e centri Medici Humanitas situati in Lombardia che, in questi mesi, hanno avuto un livello diverso di esposizione al virus”.

L’Humanitas Gavazzeni a Bergamo, trasformato fin dall’inizio dell’emergenza in un ospedale Covid (con 260 posti letto dedicati), l’IRCCS Istituto Clinico Humanitas di Rozzano e l’Humanitas Mater Domini di Castellanza, che dal 23 febbraio hanno messo a disposizione rispettivamente 300 e 75 posti letto per pazienti Covid, sono state certamente le strutture più esposte al virus. Lo studio è stato condotto anche in Humanitas San Pio X a Milano e nei Medical Care presenti sul territorio di Milano e Varese.

“Dallo studio – prosegue la professoressa Rescigno – emerge che la percentuale di positivi agli anticorpi IgG contro SARS-CoV-2 è pari al 15%: si va dal 3% di Humanitas Medical Care di Varese al 43% di Humanitas a Bergamo, la zona non solo lombarda, ma d’Italia, più duramente colpita da Covid. Insieme a questo dato, la percentuale di positività identica fra operatori sanitari (medici e infermieri) che sono stati in prima linea contro il virus e personale di staff, che per lo più ha lavorato da casa in smartworking, fa pensare che la diffusione del virus sia avvenuta per lo più al di fuori degli ospedali. Un dato rinforzato dall’alta percentuale di professionisti (32%) che sono stati a contatto diretto con familiari affetti da Covid”.

Da notare come il maggior numero di positivi si registri tra le donne (14% rispetto all’11% degli uomini), mentre l’esposizione al virus varia in base all’età, decrescendo nel sesso femminile con l’aumentare deli anni. Gli uomini registrano invece un picco di positività tra i 40 e 50 anni. Tra le persone positive alle IgG, la percentuale di asintomatici è il 10%. Superiore (20%) quella di chi ha avuto uno-due sintomi (paucisintomatici), per lo più perdita di olfatto e/o gusto e febbre.

“Il progetto – aggiunge Alberto Mantovani – rappresenta un contributo originale alla Ricerca per la lotta contro Covid-19. Non ha l’obiettivo di fornire la cosiddetta patente immunitaria perché, allo stato attuale delle conoscenze, nessuno può assicurare che una persona non si ammalerà o riammalerà di Covid-19 sulla base della presenza di anticorpi. Resta quindi fondamentale, anche per chi ha partecipato allo studio, attenersi ai comportamenti responsabili suggeriti dalle autorità sanitarie regionali, come mantenere la distanza sociale e indossare la mascherina”.

Conclude Mantovani: “L’importanza dello studio è legata al fatto che permetterà, grazie alle fasi successive, di chiarire la relazione esistente fra i diversi livelli di anticorpi e la resistenza al virus, aiutandoci a definire la quantità di anticorpi necessaria per avere una protezione efficace ‘sul campo’. Inoltre permetterà di capire quanto durano la risposta e la memoria immunologica e, quindi, l’eventuale protezione”.

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