Coronavirus, Alcase invita Speranza a testare tutti i malati di cancro al polmone.

Riceviamo e pubblichiamo un comunicato dell’Associazione, che ha scritto una lettera aperta al ministro della Salute.

Sono innumerevoli i programmi di supporto ai malati (e alle persone a rischio di ammalarsi di cancro al polmone) che ALCASE ha attivato nel corso degli anni: molti di essi sono ancora attivi, molti altri si sono via via aggiunti (https://www.alcase.eu/support/ e https://www.alcase.eu/education/). Numerosi anche i programmi e le iniziative a difesa e sostegno dei diritti dei malati (https://www.alcase.eu/advocacy/) che, in questi giorni di grave emergenza nazionale che tocca tutto il paese, ALCASE ha dovuto intensificare. Qui il link a una nuova iniziativa di “Advocacy”, che intende sensibilizzare ed attivare le istituzioni nei confronti di un problema che, se non risolto, potrebbe impattare drammaticamente sui nostri malati: LETTERA APERTA AL MINISTRO DELLA SALUTE, ON. ROBERTO SPERANZA In sostanza, ALCASE chiede che vengano emesse disposizioni immediate perché siano sottoposti a test diagnostici per il COVID-19 tutti i malati oncologici polmonari, alla diagnosi e durante il successivo trattamento – se ritenuto clinicamente opportuno -, indipendentemente dalla regione e dalla località in cui essi risiedono. E perché tali disposizioni siano diffuse, nel più breve tempo possibile ed in modo capillare, alle Aziende Sanitarie Locali su tutto il territorio nazionale. Come ben sappiamo, anche grazie alle chiare indicazioni del prof. Locatelli (tavolo del 5 marzo su “prime raccomandazioni per patologie specifiche”), particolare attenzione va posta ai pazienti sottoposti a trattamento chirurgico per tumori a localizzazione polmonare, con trattamento che abbia comportato un sacrificio parziale o totale di parenchima polmonare (vedi Raccomandazioni per la gestione dei pazienti oncologici e oncoematologici in corso di emergenza da COVID-19). Ma non solo le persone sottoposte a un pregresso intervento di resezione polmonare per cancro al polmone sono particolarmente a rischio. Lo sono anche (forse ancora di più) quelle che convivono con un tumore al polmone che non è più operabile (e magari sottoposte a terapie immunodepressive). In questo caso, il tumore, una massa estranea che sostituisce il normale parenchima polmonare, può comportare importanti riduzioni della ventilazione e collassi periferici dello stesso e può determinare un alto rischio di infezione per le frequenti ostruzioni bronchiali associate. Anche in questo caso, dunque, è assai alto il rischio di morte per infezione da COVID 19 che andrebbe a colpire un organo già gravemente minato dal tumore. Un altro, nuovo, rilevante problema nella gestione globale di questi malati è stato recentemente posto all’attenzione della comunità scientifica mondiale da parte di un gruppo di valorosi scienziati italiani e ripreso dalla Fondazione Veronesi.  Si tratta della assoluta similarità dei sintomi clinici, e soprattutto radiologici, del cancro del polmone e di molte delle sue terapie (a cominciare dalla immunoterapia) con l’infezione da COVID-19.  Ciò rende massimamente incerta la decisione su quale sia il trattamento più opportuno per ogni singolo paziente e spinge i succitati ricercatori a dichiarare, testualmente: “Da un punto di vista pratico, sembra ragionevole suggerire che i pazienti con carcinoma polmonare siano sottoposti a test sistematici per SARS-CoV-2 all’inizio del trattamento e ogni qualvolta sia ritenuto necessario dal medico curante nel corso della terapia
”. Dice Anna Gatta, presidente dell’ODV: “La mia richiesta è motivata dal caso di una paziente di cancro del polmone sottoposta a lobectomia, la quale da 10 giorni evidenziava sintomi riconducibili ad un possibile contagio da COVID-19. La signora in questione, che si era subito auto isolata in una stanza di casa, vivendo con il figlio, contattava il medico di base che richiedeva un tampone, con urgenza, presso l’ASL di competenza, la cui esecuzione però veniva per lungo tempo ostacolata, quasi fosse una pretesa irragionevole ed immotivata”. “Ogni anno quasi 40mila nostri concittadini si ammalano di cancro del polmone e molti di essi ne moriranno – aggiunge Gianfranco Buccheri, direttore medico di ALCASE –. Sono cifre enormi, che fanno poco rumore. Soprattutto ora, che tanti nostri concittadini muoiono di Coronavirus.  Ma il fatto è che chi ha un cancro del polmone non ha soltanto il rischio di avere una forma più severa o addirittura letale di COVID-19, ma ha anche quello di subire decisioni terapeutiche incerte, non potendosi escludere la super-infezione virale. Dare attenzione ai più fragili esprime la civiltà di una comunità. E noi intendiamo stimolare tutti perché la nostra comunità di Italiani lo sia a pieno titolo”. Note L’Associazione cuneese per lo studio e la ricerca clinica contro il cancro del polmone (a suo tempo nota come “Cuneo Lung Cancer Study Group”) nacque nel lontano 10 gennaio 1994, per iniziativa di due pneumologi cuneesi, i dottori Gianfranco Buccheri e Domenico Ferrigno. Lo scopo era quello di sostenere la ricerca medico-scientifica cuneese del settore. Nel 1997, il dottor Buccheri venne a conoscenza, grazie a internet, dell’esistenza di ALCASE e avviò i primi contatti con l’associazione americana che sfociarono, l’anno successivo, nella fondazione di ALCASE Italia. ALCASE è un acronimo inglese che sta per “alleanza (Alliance) per la lotta al cancro del polmone (Lung Cancer), attraverso la difesa dei diritti delle persone ammalate (Advocacy), il loro supporto materiale e morale (Support), e l’informazione a 360° sulla malattia (Education)”. Redazione Nurse Times Aggiornamenti in tempo reale sull’epidemia in Italia Aiutateci ad aiutarvi
 
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