Coronavirus: come “una goccia di veleno” ha stravolto le nostre vite.

Riceviamo e pubblichiamo le riflessioni di Dario Porcaro, infermiere in prima linea nella lotta all’epidemia.

Sono una delle tante persone che vive la propria vita immersa in una quotidianità che spesso sfiora la superficie della noia. Mi alzo, vado a lavorare, torno a casa, curo i miei affetti, i miei interessi, le mie passioni. Improvvisamente, se non tutte, tante cose sono cambiate. Una linea immaginaria ha preso forma dall’oggi al domani, portando con sé il sapore di un prima e di un dopo, sbalzati da una continuità che correva l’aspro rischio di trasmettere monotonia e una diversità rivoluzionaria, che appare come una sponda prossima, ma alla quale non c’è alcun desiderio di approdare. Improvvisamente sembra d’essere stati messi sul set di un film e ho sentito dire da una voce: adesso sei tu il protagonista.

Mi sono messo addosso una tuta impermeabile, una mascherina che mi restituisce il mio stesso respiro, una visiera a protezione del viso: sono completamente isolato da tutto quanto mi circonda, me stesso e il resto di un mondo al di là di pannelli di plastica spessa, posizionati come cortine per delimitare, separare, rinchiudere chi è vittima. Spostandoli, entro in uno spazio  pieno di corpi intubati, respiratori meccanici, pompe infusionali, epidermidi sudate. Pochi passi per spostarsi fra due margini di realtà e non capisco perché tutto questo stia accadendo, stia accadendo a me e ad altri come me.

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E non so neppure se mi interessa veramente saperlo, ma è quello che sto vivendo, ciò di cui sto facendo esperienza e che forse un giorno racconterò a persone distratte e disinteressate. Mi guardo intorno, sento il ritmo del mio respiro, il calore della mia traspirazione, i suoni dei dispositivi collegati a ciascun paziente. Ha un senso tutto questo? Forse il recupero di un equilibrio, momento desiderato, ma forse il più difficile da trovare nell’arco delle nostre esistenze: la natura non cerca di perseguirlo nel lento fluire di un tempo al quale facciamo caso solo noi esseri umani?

Immuni, all’interno di vite laccate, nelle nostre esistenze ben nutrite di tutto ciò che offre la nostra opulenza, ci siamo ritenuti in salvo al di sopra di ogni male. Sino al momento in cui un veleno è arrivato, goccia infinitesimamente piccola instillata nella nostra carne: sei stata sufficiente per devastare quella stantia normalità che, invincibili, pensavamo di poter vivere sino alla fine dei nostri giorni. Vestiti puliti, profumati, illuminati dalla luce di un giorno che immaginavamo intramontabile, abbiamo visto come tutto possa cambiare nel giro di poche ore: l’odore della pelle, quando il sudore si mischia a quello del sangue e delle secrezioni, quando un corpo giace a peso morto in un letto, nel buio di una sedazione farmacologica senza la quale non lo si potrebbe intubare e ventilare meccanicamente.

Per alcune ore prono, per altre supino, toccato da tante mani estranee, quegli occhi ora chiusi, avranno incontrato un ultimo sguardo, sarà arrivato il suono di alcune parole di sostegno, di conforto, di rassicurazione, attraverso una mascherina e uno sguardo coperto da una visiera, nell’incertezza più totale che la coscienza avrebbe fatto nuovamente rivivere un presente. Progresso scientifico, tecnologia, globalizzazione non hanno creato intorno a noi alcuna corazza di invincibilità, forse troppi se ne erano convinti.

Il respiro della persona che amiamo ci è amico, come lo scorrere dell’acqua di un ruscello o di una piccola cascata dove l’acqua rimbalza di roccia in roccia, come un lieto tintinnare di vitalità. Un respiratore automatico non ha nulla di tutto questo, è un andare e un venire, suono anomalo, sordo, freddo, meccanico, che dice solo: “grazie a me stai continuando a vivere”.

Non ho scelto questo lavoro per vedere davanti a me morte e desolazione, sentire l’odore penetrante di liquidi organici per un intero turno. L’ho scelto per aiutare a tornare a vivere, per sostenere chi attraversa un momento di difficoltà, per non lasciar solo chi si trova a compiere l’ultimo passo nell’al di qua. Eppure adesso, per quanto volga lo sguardo intorno a me, ciò che posso vedere è solo una tragica ritirata, frettolosa, improvvisata, un po’ caotica e disordinata. All’improvviso una porta che immaginavamo non si potesse aprire si è spalancata, non trovando alcuna resistenza, nessuna vedetta era stata lasciata per lanciare un allarme.

Fra tanti abbracci che ci siamo affrettati a dare, forse uno aveva un significato più ricco? Fra tanti baci che abbiamo dato, forse uno conteneva il senso del nostro affetto? Fra tante strette di mano, forse una conteneva la trasparenza della nostra amicizia? Tutto questo è venuto meno, non ci sarà per qualche tempo la possibilità di mascherare la nostra ipocrisia dietro alcuna apparente facciata di formalità. Staremo lontani, guardandoci l’un l’altro con un po’ di sospetto, ansia e diffidenza. Quando torneremo a poterci dedicare alla consuetudine delle relazioni, chissà come reagiremo. Daremo forse più peso a gesti semplici che credevamo scontati quanto spesi superficialmente? Donarsi, chinarsi, immergersi nella nostra stessa umanità acquisirà un nuovo significato?

Goccia di veleno ai margini della vita, ancor prima che un essere umano calpestasse questo pianeta eri già qui. Hai un terribile e incolmabile vantaggio su di noi. Ci insegni, quindi, che è incredibilmente più facile vivere da parassita, godendo e nutrendosi della vita altrui sino a spezzarla, piuttosto che lottare e consumare energie per viverne una propria. Noi, gli esseri più intelligenti, ci scopriamo armati ma non degli strumenti opportuni contro di te. Infinitamente più complessi e biologicamente, generosamente più provvisti, siamo in egual misura fragili, ma non per questo abbiamo rinunciato alla nostra parte di lotta, quella che ci siamo potuti permettere di fare.

Faccio una doccia, mi abbandono al potere del sapone, al suo saper portar via dalla mia pelle il sudore, gli odori, un po’ di stanchezza, quel senso di appicicaticcio che i tessuti impermeabili lasciano addosso. La realtà ha il potere già da subito di trasformarsi in ricordo. Non ci deve essere necessariamente un motivo particolare per il quale certe immagini, certi istanti, certe situazioni, si depositano definitivamente all’interno della nostra mente. Eppure accade. Da questo momento so che quegli istanti rimarranno indelebili all’interno della mia memoria, probabilmente per sempre.

Dario Porcaro

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