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Cancro al seno: evitabile la rimozione estensiva dei linfonodi se le pazienti rispondono bene al primo trattamento sistemico

Le pazienti con cancro al seno che ha raggiunto i linfonodi dell’ascella possono evitare la rimozione estensiva dei linfonodi senza rischi, se il trattamento è calibrato sulla risposta alle terapie anticancro, come, ad esempio, la chemioterapia prima dell’intervento chirurgico.

Durante la presentazione di uno studio nel corso della 14esima edizione della European Breast Cancer Conference (EBCC14) in corso a Milano, Annemiek Van Hemert, medico e specializzanda nel Dipartimento di Chirurgia Oncologica dell’Antoni van Leeuwenhoek-Netherlands Cancer Institute (AVL-NKI) ad Amsterdam (Paesi Bassi), ha dichiarato: “Se siamo in grado di predire la risposta basata sulla rimozione di un solo linfonodo, significa che possiamo evitare senza rischi la rimozione estensiva se non vengono lasciate cellule tumorali vive. Questo evita serie complicazioni, come, ad esempio, il doloroso rigonfiamento del braccio, noto come linfedema”.

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“Tuttavia, sebbene i clinici usino un certo numero di tecniche di stadiazione per predire la risposta, finora sono mancati solidi dati sugli esiti del cancro, specialmente in pazienti in cui il tumore si è diffuso a più di tre linfonodi”, ha proseguito la dottoressa.

La dottoressa Van Hemert e i suoi colleghi, diretti dalla professoressa Marie-Jeanne Vrancken Peeters dell’AVL-NKI, hanno condotto uno studio che ha coinvolto 218 pazienti tra il 2014 e il 2021 per analizzare i risultati del protocollo MARI (“Marking Axillary lymph nodes with Radioactive Iodine seeds”). Il protocollo è stato sviluppato all’AVL Hospital e ora viene utilizzato in alcuni ospedali olandesi. La presentazione di oggi fornisce i risultati dopo quattro anni del tasso di recidiva nei linfonodi ascellari, della sopravvivenza complessiva e senza malattia.

 “Ci siamo concentrati sulle pazienti con la malattia linfonodale ascellare più estesa, ovvero quelle con cellule cancerose in più di tre linfonodi. Abbiamo usato esami FDG-PET/CT per valutare l’estensione della diffusione del tumore ai linfonodi”, ha spiegato la dottoressa Van Hemert.

“Abbiamo marcato il linfonodo ascellare più grande con iodio radioattivo – ha specificato -. Dopo questo, le pazienti sono state sottoposte al primo trattamento sistemico: o chemioterapia o terapie bersaglio che trovano e attaccano le cellule tumorali. Poi le donne sono state sottoposte a intervento chirurgico. Durante l’operazione, abbiamo rimosso solo il linfonodo marcato, il linfonodo MARI, e lo abbiamo esaminato in ogni sua restante cellula tumorale vivente.”

“Nel caso in cui il linfonodo MARI ha mostrato che non ci sono cellule tumorali residuali, in altre parole c’è stata una completa risposta patologica (pCR) al primo trattamento sistemico, non abbiamo rimosso altri linfonodi”, ha specificato Van Hemert.

Alle pazienti che avevano malattia residua nel linfonodo MARI sono stati invece rimossi gli altri linfodi: un’operazione nota come dissezione dei linfonodi ascellari. Tutte le pazienti sono state sottoposte a radioterapia.

La procedura MARI ha un tasso di falsi negativi pari al 7% che significa che non ha individuato le cellule cancerose viventi solo nel 7% dei casi. Dopo una media di 44 mesi (in un arco di tempo da 26 a 62 mesi), il tasso di recidiva nei linfonodi ascellari era del 2.9% nelle 103 pazienti che si sono sottoposte a radioterapia senza altra rimozione dei linfonodi.

“Inoltre, i tassi di sopravvivenza a distanza di 44 mesi in queste pazienti erano eccellenti – ha aggiunto la dottoressa Van Hermet -. Il tasso di sopravvivenza complessivo è stato del 95% e l’89% delle pazienti è sopravvisuto senza una recidiva di malattia invasiva. Questo significa che possiamo evitare la rimozione estensiva dei linfonodi ascellari nelle pazienti che hanno raggiunto una risposta patologica completa (pCR) nel nodo MARI dopo il trattamento sistemico primario”.

Il tasso di recidiva ascellare nelle 115 pazienti (53%) alle quali è stato necessario rimuovere anche gli altri linfonodi era del 3.5%, con un tasso complessivo di sopravvivenza del 90% e un tasso di assenza di malattia dell’82%.

La dottoressa ha dichiarato che il trattamento sistemico primario è stato notevolmente migliorati in questi anni e il 70% delle pazienti trattate in questo modo ha raggiunto una risposta patologica completa (pCR), ma i chirurghi continuano a rimuovere ancora tutti i linfonodi ascellari. “Il patologo direbbe: “Bene, voi avete rimosso 18 linfonodi e nessuno conteneva cellule tumorali’. Questo quindi amplia la domanda: abbiamo fatto la cosa giusta per la paziente con la rimozione di tutti quei linfonodi con tutte le complicanze conseguenti?”, commenta Van Hemert.

“Noi speriamo che altri clinici implementino questa strategia di de-escalation così che più pazienti con il cancro al seno possano beneficiare di quello che abbiamo dimostrato: la rimozione chirurgica dei linfonodi ascellari può essere evitata senza rischi in circa l’80% delle pazienti trattate con la terapia sistemica primaria”, ha concluso la dottoressa.

I ricercatori raccoglieranno ulteriori dati dai risultati di un periodo più lungo. Hanno avviato anche il trial DESCARTES  per indagare la sicurezza in caso di omissione del trattamento radioterapico in un gruppo selezionato di pazienti con tumori con un diametro inferiore ai due centimetri, senza evidenza di cancro diffuso ai linfonodi e pCR dopo trattamento sistemico primario.

La co-presidente della 14esima edizione della European Brest Cancer Conference (EBCC14) è la dottoressa Fiorita Poulakaki, direttrice del Dipartimento di Chirurgia della Mammella dell’Athens Medical Center Hospital, vicepresidente di Europa Donna, la Coalizione Europea per il Cancro al Seno, e non è stata coinvolta in questo specifico progetto di ricerca.

Ha commentato: “Quando trattiamo le pazienti con cancro al seno, è importante assicurare che il trattamento stesso causi il minor disagio possible alle donne. I risultati di questo studio suggeriscono un modo per aiutarci a evitare effetti collaterali che condizionano la qualità di vita e possono a volte causare considerevole disagio a lungo termine. Ogni giorno curiamo le nostre pazienti assicurando loro che avranno una lunga vita, ma, allo stesso tempo, dovremmo tener conto dei temi legati alla sopravvivenza. Ci aspettiamo altri risultati da questa ricerca”.

Redazione Nurse Times

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