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Camomilla e altre erbe per curare il cancro: condannato finto medico

Un 54enne colombiano, titolare di uno “studio” a Berlingo (Brescia), ha millantato per anni di essere un medico, promettendo cure miracolose a base di camomilla e altre erbe. E’ stato condannato a tre anni e 25.500 euro di multa per truffa aggravata ed esercizio abusivo della professione.

Il Tribunale di Brescia ha condannato a tre anni e a 25.500 euro di multa un 54enne colombiano che si spacciava per medico e prometteva ai malati di cancro

guarigioni miracolose con terapie a base di camomilla e altre erbe. L’uomo era già stato arrestato dai carabinieri nel 2019 e, dopo un periodo trascorso in carcere, era scomparso.

Nel marzo di quattro anni fa uno dei suoi clienti, che lo aveva contattato per curare il padre malato di tumore, si era presentato nel suo “studio” di Berlingo (Brescia) dopo aver ricevuto una richiesta di 15mila euro per la terapia completa. Avrebbe dovuto consegnargli una rata di 800 euro in cambio di “medicinali” composti con un mix di camomilla, ortica e un’altra erba. Effettuato lo scambio, erano intervenuti i carabinieri di Isorella (Brescia), che avevano ispezionato l’appartamento, trovando grossi quantitativi di erbe usate per i mix.

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Sul computer del curandero (“uomo della medicina”, come viene definito il molti Paesi dell’America Latina), i militari avevano trovato le ricette che il medico consegnava ai pazienti, spiegando come preparare il mix miracoloso, senza ricorrere alla medicina tradizionale. Inoltre la laurea in Medicina e chirurgia che l’uomo sosteneva di aver conseguito era un falso. Dopo un breve periodo di detenzione, al finto medico era stato imposto l’obbligo di firma, ma a quel punto lui era sparito nel nulla.

Ora, all’esito del processo per truffa aggravata ed esercizio abusivo della professione, è arrivata la sentenza. L’accusa per lui aveva chiesto tre anni e 50mila euro di multa, mentre la difesa ne aveva chiesto l’assoluzione, sostenendo l’assenza del reato di esercizio abusivo della professione perché sulle ricette non erano stati impressi timbri e perché l’imputato non aveva mai definito “farmaci” i suoi preparati.

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