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Alluvione a Forlì: il racconto di due infermieri

Andrea Morinelli e Domenico Ambrosino sono ternani, ma vivono a Forlì, città duramente colpita dal maltempo. La loro testimonianza al Messaggero.

Andrea Morinelli sta facendo il turno di notte nella casa di riposo Pietro Zangheri di Forlì, quando il fiume, poco distante di lì, esonda, portando con sè tutto ciò che trova. Si affaccia e vede che il parcheggio della struttura è completamente sommerso. La corrente salta, non c’è altro modo che rimanere lì ad aspettare.

Andrea ha 23 anni ed è di Terni, ma dall’inizio dello scorso anno si è trasferito a Forlì per lavorare come infermiere. “C’era stata un’allerta meteo nei giorni precedenti, ma nessuno si aspettava quello che è successo – racconta -. In poche ore la struttura dove lavoro si è trasformata in un centro accoglienza per tante persone che in pochi secondi stavano perdendo tutto. Li abbiamo dovuti dividere tra reparto per autosufficienti e non. Io mi sono occupato del secondo”.

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I giorni seguenti non ha fatto altro che aiutare come poteva: “Vedere una situazione del genere con i propri occhi è molto più terrificante delle immagini che passano in televisione. Sono andato ai Romiti a spalare il fango, una delle zone più colpite della città: macchine e case distrutte, mobili che vagavano, solo melma e acqua. L’unica cosa bella e che mi ha colpito è stata la voglia di fare da parte di tutti coloro che si sono adoperati per dare una mano, a tratti scherzandoci su, con leggerezza, magari cantando con le mani nel fango”.

Con lui un altro ternano, Domenico Ambrosino, che vive a Forlì dal 2020. “Ero stato chiamato in qualità di infermiere per la lotta contro il Covid – racconta -. La scorsa settimana, c’è stata l’alluvione. Io avevo fatto il turno di mattina quindi ero a casa ma Andrea è rimasto bloccato in struttura così come altri colleghi. Dai video e dalle foto si vedeva il parcheggio completamente allagato, a malapena si vedevano i tettucci delle auto. Durante la notte saltava continuamente la corrente di casa e le strade si erano fatte tutte buie. L’unica cosa che le illuminava erano i fari delle auto e le luci blu dei soccorsi. La città era completamente al buio. Metà città era stata distrutta ed il nostro posto di lavoro si trovava esattamente al centro”.

Centinaia di persone sporche fino alla testa di fango che davano una mano dove potevano. Chi non aveva i badili aiutava a portare i secchi, oppure a spostare i mobili in strada, e invece chi era fornito dava una mano a spostare il fango e riporlo nei secchi, per poi essere portato fuori.

“Noi due assieme ad una nostra collega abbiamo aiutato una signora a portare 20 kg di segatura per casa sua – continua Domenico -. L’acqua aveva raggiunto il primo piano. Nonostante la signora avesse perso quasi tutto si è dimostrata molto cortese e voleva offrirci una crostata. Poi abbiamo raggiunto una villetta a tre piani, forse gialla fuori ma difficile dirlo dato che l’acqua l’aveva sommersa. Eravamo una ventina di persone, tutti ragazzi ad eccezione dei due proprietari. Le ragazze spazzavano per mettere la fanghiglia nei badili e liberavano le zone più inaccessibili. I ragazzi portavano i secchi e i secchioni della spazzatura su per la salita per poi buttare la melma in strada”.

Sempre Domenico: “Un altro gruppo si occupava di prendere l’oggettistica e i mobili e riporli in strada. Non credo di esagerare a dire che c’erano montagne di roba ammassata: peluche, assi, lavatrici, frigoriferi, piatti, insomma di tutto. A fine serata, nonostante tutto il lavoro, si poteva intravedere il pavimento sotto di noi fino a quel momento nascosto dalla melma. Nel frattempo passavano i ragazzi del gruppo scout che davano ai volontari acqua e pasta al forno. Qualcuno andava in giro con la cassa dietro la schiena con la musica che intonava Romagna mia“.

E ancora: “Abbiamo notato un clima pieno di solidarietà e altruismo. In altre case c’era anche gente che festeggiava per le piccole vittorie. Nonostante tutto il clima di devastazione e distruzione, la gente non lasciava trasparire il dolore della perdita. Abbiamo contribuito per quella piccola casa ma, una volta in strada, non riuscivamo a intravedere la fine della scia di distruzione. Comunque da giorni colleghi, amici e conoscenti continuano ininterrottamente ad aiutare dove possibile. Il lavoro non è ancora finito”.

Redazione Nurse Times

Fonte: Il Messaggero

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