Più specificamente, la vitamina K assicura il corretto funzionamento di un enzima che permette la sintesi di alcune proteine coinvolte nella coagulazione. La carenza di questa vitamina che può verificarsi, seppur raramente, in seguito a malattie che ne impediscono l’assorbimento intestinale, o a prolungati trattamenti con antibiotici, comporta quindi emorragie. La vitamina K svolge un ruolo di primaria importanza per la salute dell’apparato cardiocircolatorio, poiché riduce anche il rischio di formazione di calcificazioni nei vasi sanguigni e di formazione della placca aterosclerotica (arteriosclerosi). Inoltre, mobilizzando il calcio dai vasi e dai tessuti molli verso le ossa contribuisce a mantenere la salute di queste ultime.
Sono state descritte due forme di vitamina K, entrambe importanti per la coagulazione:
Per evitare la carenza di vitamina K1, la raccomandazione è quella di assumere almeno duecento grammi di verdura ogni giorno. Inoltre, sarebbe auspicabile mangiare quotidianamente anche cibi fermentati (yogurt, formaggi), in modo da introdurre anche una certa quantità di vitamina K2. L’apporto di quest’ultima dovrebbe essere assicurato dalla sua produzione da parte dei batteri intestinali presenti all’interno dell’organismo (produzione endogena). Tuttavia, l’alterato equilibrio, spesso presente, tra le specie di batteri (disbiosi) ne può alterare la produzione rendendola insufficiente.
Il fabbisogno medio (o quantità minima indispensabile) di vitamina K non è stato definito (vitamine). Tuttavia, secondo i LARN (Livelli di assunzione di riferimento per la popolazione italiana) stilati dalla Società Italiana di Nutrizione Umana (SINU), le quantità di vitamina K corrispondenti a un’assunzione adeguata nelle diverse fasce di età, indipendentemente dal sesso, sono le seguenti:
Le più importanti fonti naturali di vitamina K1 sono le verdure a foglia verde:
È presente anche nei legumi, negli oli vegetali, nella frutta (mirtilli, fragole, kiwi, fichi) e, in minor quantità, in alcuni alimenti di origine animale (carne, uova, fegato). I prodotti fermentati quali i formaggi e lo yogurt intero, invece, contengono la vitamina K2, anche se in quantità inferiori. Tuttavia, mentre soltanto il 10% della vitamina K1 presente negli alimenti viene assorbito, la vitamina K2 derivante dal cibo è assorbita quasi completamente.
Carenza di vitamina K
Una carenza di vitamina K può verificarsi nel neonato o nei primi 2-3 mesi di vita in seguito a:
La carenza può essere causa di emorragie (conosciute come “emorragie da deficit di vitamina K”) di vario tipo:
Questi eventi, che potrebbero verificarsi nella prima settimana di vita, vengono efficacemente prevenuti tramite la somministrazione di una dose unica (per via intramuscolare, più efficace) o dosi multiple (per via orale) di vitamina K subito dopo la nascita. Seguendo le ultime linee guida sul parto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), la Società Italiana di Neonatologia (SIN) consiglia una somministrazione unica di 0.5-1 milligrammo (a seconda del peso) di vitamina K intramuscolo in tutti i neonati, compresi quelli nati prima del termine. In casi eccezionali i genitori possono scegliere la somministrazione orale.
La profilassi (prevenzione) alla nascita serve anche a ridurre il rischio di emorragia tardiva, che potrebbe verificarsi tra il primo e il terzo mese nei neonati allattati al seno, essendo il latte materno povero in vitamina K. Per questi ultimi, comunque, è consigliata la prosecuzione dell’integrazione con 25 microgrammi (mg) al giorno per via orale dal 15° giorno per 12 settimane. L’utilizzo di latte artificiale, già arricchito in vitamina K, non prevede, invece, alcuna integrazione.
I livelli di vitamina K, inoltre, possono essere bassi nei ragazzi e negli adulti con malattie croniche che riducono la capacità di assorbimento a livello intestinale, quali la colite ulcerosa, la fibrosi cistica o la celiachia, così come in seguito a prolungati trattamenti con antibiotici. Livelli molto bassi possono verificarsi anche nelle persone anziane con fibrillazione atriale o altri problemi cardiaci o che soffrono di trombosi venosa (formazione di coaguli nei vasi sanguigni) e seguono, pertanto, una terapia anticoagulante. I farmaci ad azione anticoagulante (ad esempio, warfarin), infatti, riducono la coagulazione del sangue bloccando proprio l’attività di questa vitamina. In questi casi è raccomandato il controllo regolare dei livelli di coagulazione.
Livelli estremamente bassi di vitamina K possono causare emorragie (perdite di sangue) e sanguinamenti di diversa importanza:
La carenza di vitamina K provoca anche:
Una dieta bilanciata invece non porterà mai a una carenza di vitamina K.
Eccesso di vitamina K
Non ci sono indicazioni che un eccesso di vitamina K possa essere dannoso, se non nel caso in cui si assuma una terapia anticoagulante. In questo caso l’eccesso di vitamina K derivante dagli alimenti potrebbe contrastare l’azione del farmaco. È opportuno, quindi, controllare l’introduzione quotidiana di vitamina K limitando il consumo di cibi che ne sono ricchi.
Non ci sono indicazioni che in gravidanza sia richiesto un apporto maggiore o minore di vitamina K.
Bisogna, però, fare attenzione all’uso di farmaci anticoagulanti orali “dicumarolici” (ad esempio, warfarin), che bloccano l’attività della vitamina K. Essi attraversano la placenta e inducono malformazioni al feto (teratogeni). La somministrazione tra la sesta e la dodicesima settimana di gestazione può indurre la comparsa di malformazioni fetali (embriopatia da warfarin) che si manifestano sotto forma di riduzione dello sviluppo del naso, dell’occhio o del cranio, riduzione della capacità visiva o ritardo mentale di vario grado. Altre complicazioni possono essere un aumento del rischio di aborto spontaneo, morte in utero del feto, problemi neurologici del neonato ed emorragie fetali e materne. La terapia con dicumarolici sembra essere, invece, ragionevolmente sicura nel secondo e nel terzo trimestre di gravidanza.
Redazione NurseTimes
Fonte: ISS
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