“Vuoi crescere professionalmente e studiare? Allora non sei un’infermiera”

Intervista ad una collega infermiera laureatasi con lode nel 2009, con un master e una laurea specialistica, col sogno di fare la ricercatrice, ma che… come tanti, troppi professionisti dell’aiuto, ha dovuto ridimensionare i propri sogni.

Intervista ad una collega infermiera laureatasi col massimo dei voti, col sogno di fare la ricercatrice, ma che… come tanti, troppi professionisti dell’aiuto, ha dovuto ridimensionare i propri sogni.

E che oggi brancola ancora nel buio, alla ricerca di un posto di lavoro degno di tale nome. Ci ha raccontato parecchie cose e, per salvaguardare il suo posto di lavoro grazie a cui forma il personale di supporto OSS (per i cui corsi propone il requisito minimo del diploma di istruzione secondaria superiore), ci ha chiesto di rimanere anonima.

Quando hai deciso di diventare infermiera avevi senz’altro delle interessanti aspettative. Sono state soddisfatte?

Sono passati circa una decina d’anni, da quando decisi di intraprendere la carriera universitaria per studiare Infermieristica. Posso dirti che allora ero piena di speranza e di passione. Oggi, invece, sono indubbiamente stracolma di rabbia e delusione! No… le mie aspettative sono state profondamente deluse.

Perché?

Io nella formazione universitaria ho investito e creduto tantissimo. Così tanto che, non appena ottenuta la laurea triennale, ho subito deciso di continuare gli studi. E lì già ho cominciato a notare qualcosa di molto strano, di assurdo, ma che poi, col tempo, ho capito essere tipico della nostra categoria: in pratica, in diversi modi, venivo denigrata da tanti, troppi colleghi infermieri che mettevano in dubbio la mia scelta di studiare.

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“Allora non sei una infermiera”, mi dicevano diversi colleghi ‘anziani’. Io non capivo (forse non lo capisco ancora oggi) e di continuo mi chiedevo: “che diavolo di professione è, la nostra, se chi ha voglia di studiare e di crescere viene guardato dai colleghi come un alieno? Perché se scegli di frequentare altri corsi di laurea come economia o ingegneria, la tua voglia di specializzarti e di migliorare viene vista come una conseguenza ‘normale’ del tuo percorso, mentre io, infermiera laureata con lode, vengo vista male dagli altri membri della mia categoria?”

Il mio sogno era quello di diventare una ricercatrice e ce l’ho messa proprio tutta. Sono perciò andata avanti coi miei studi e sarei voluta arrivare al dottorato, ma… poi mi sono risvegliata e, guardandomi intorno, mi sono ricordata di vivere in Italia. E che per tale motivo, era meglio accantonare i miei sogni.

Chi è più ‘bravo’, preparato, voglioso di crescere e magari anche di cambiare le cose non trova quindi spazio nell’infermieristica italiana…?

Beh… sapessi quante cose cattive e quante discriminazioni ho ricevuto per il mio titolo… in pratica, se ad esempio sei già una ‘vecchia’ infermiera e lavori nell’ufficio delle professioni sanitarie o (se sei fortunata) nel dipartimento infermieristico, allora sì che sei ‘bravissima’ a cercare di ottenere un utile pezzo di carta in più. Ma nel mio caso, ovvero quello di una neolaureata infermiera che vuole studiare per crescere e magari arrivare ai piani alti della professione… si viene visti da tutti, colleghi e dirigenti, come una che non ha semplicemente voglia di lavorare!

Domanda provocatoria: molti ospedali italiani sono al collasso per carenza di personale infermieristico… sono davvero così pochi gli infermieri italiani…?

Lo sai quanti infermieri ci sono in Italia vero? Troppi! Sono troppi! Altro che pochi! Le università continuano a sfornarli solo per fare soldi! E poi la metà di loro sono a spasso! Nelle strutture ce ne sono pochi e stremati, ma tanto nessuno assume più. E i nuovi infermieri laureati accettano ogni condizione, purtroppo, pur di lavorare: io non ce l’ho fatta. Non ci riesco.

E se la nostra categoria , invece di crescere, ha subito un declino catastrofico è solo colpa nostra! Non capisco come tantissimi colleghi continuino ad accettare certe condizioni assurde, come ad esempio lavorare con lo stipendio e le mansioni dell’OSS, ma con la responsabilità dell’infermiere! Ho ricevuto anche io diverse proposte come questa… e ti dirò, a volte avrei guadagnato di più facendo l’OSS o addirittura l’addetta alle pulizie che l’infermiera!

Oggi, a diversi anni di distanza dalla laurea triennale e dall’iscrizione all’Albo… di cosa ti occupi?

Mi occupo di altro, in attesa di tempi migliori e di qualche opportunità come infermiera. Sono riuscita ad inserirmi nel (duro) mondo della formazione. Addestro i futuri Operatori Socio Sanitari.

Formi il personale di supporto, quindi… interessante. Aiutaci a spiegare la figura dell’OSS agli addetti ai lavori e ai cittadini: chi è l’operatore socio-sanitario?

L’operatore socio sanitario è stato istituito dalla Conferenza Stato/Regione del 22 febbraio 2001. L’art. 1 stabilisce che l’OSS è l’operatore che, a seguito dell’attestato di qualifica conseguito al termine di specifica formazione professionale, svolge attività indirizzata a: soddisfare i bisogni primari della persona, nell’ambito delle proprie aree di competenza, in un contesto sia sociale che sanitario e favorire il benessere e l’autonomia dell’utente.

L’ordinamento dei corsi regionali professionali, prevede: 1000 ore di cui 550 di tirocinio. La Legge 1/2002 legittima tale figura definendo l’OSS figura di supporto all’assistenza. Nella Conferenza Stato/Regione del 16/01/2003 si disciplina la Formazione Complementare dell’operatore socio sanitario, istituendo un percorso di formazione complementare di assistenza sanitaria di 300 ore di cui 150 di tirocinio, che consente alla nuova figura definita come OSSS (Operatore socio sanitario specializzato)

di collaborare con l’infermiere e/o di svolgere alcune attività assistenziali sulle direttive del responsabile dell’assistenza infermieristica.

Non è un infermiere o un ‘piccolo’ infermiere, quindi… come pensano i media, i pazienti e molti addetti ai lavori.

No. Come saprete meglio di me, il D.M n.739/1994 art 1 comma 1 stabilisce che l’infermiere è l’operatore sanitario che in possesso del diploma universitario (oggi Laurea) abilitante e dell’iscrizione all’albo professionale è responsabile dell’assistenza infermieristica. Al comma 3 si sottolinea che per l’espletamento delle funzioni si avvale, ove necessario, dell’opera del personale di supporto. La legge n.42/1999 abolisce il mansionario, questo è il passo decisivo per il passaggio da professione ausiliaria a professione autonoma (dove e quando non è ancora dato sapere comunque è stato scritto), così come ribadito dalla Legge n.25/2000, che definisce la nostra autonomia professionale, definendoci responsabili ed autonomi nella pianificazione dell’assistenza infermieristica per obiettivi.

Non c’è alcun nesso tra le due figure. Eppure negli ospedali, troppo spesso, si vedono infermieri ed OSS fare le stesse cose… ed i cittadini, inevitabilmente, li confondono.

L’OSS è una figura di supporto all’assistenza; mentre l’Infermiere è un professionista della salute, responsabile dell’Assistenza Infermieristica e che, in autonomia, pianifica l’assistenza. L’infermiere ha seguito un percorso Universitario, ha una laurea. L’OSS segue un corso Regionale, che in merito ai programmi formativi dovrebbe essere in qualche modo uniforme in tutto il territorio italiano, ma non è proprio così; in realtà, infatti, ha un attestato di qualifica regionale.

L’infermiere ha un profilo professionale, un albo, un Collegio. L’OSS… no. Quella dell’Infermiere è altresì una professione autonoma, responsabile dell’assistenza infermieristica, è una professione Intellettuale. L’ OSS è una figura ausiliaria; è di Supporto all’assistenza.

Quali sono in Italia i requisiti per poter frequentare un corso da OSS?

La Conferenza Stato/Regione del 22 febbraio 2001, all’art. 7 stabilisce che il requisito di accesso al corso per diventare OSS è la licenza media inferiore e il 17° anno di età. Il che, se l’OSS fosse davvero una figura di supporto all’assistenza, non sarebbe grave. Ma considerando che ormai gli operatori socio-sanitari vengono assunti dalle strutture praticamente al posto degli infermieri, più o meno stoltamente mi chiedo: da cittadina, nell’eventualità di un ricovero… potrei davvero stare tranquilla?

Alcune regioni più virtuose di altre, permettono (a ragione, dico io) l’accesso al corso da OSS solo con il diploma superiore; però poi ti dicono anche che se hai il titolo per ASA o OTA (anche ATA), figura che non prevede il diploma superiore, puoi accedere al corso OSS; e anzi… lo fai abbreviato!!!

Il problema è che poi, negli ospedali, ti trovi di fronte, oltre a persone motivate e con le idee chiare, anche a tanti ‘disperati-disagiati’ che hanno fatto il corso da OSS solo perché rappresentava il biglietto d’accesso ad un lavoro sicuro; ma che non hanno una cultura dell’aiuto, una ‘cultura umana’, spesso non sono disposti neanche ad apprenderla; e si mettono a ridere come bambini delle elementari quando, durante la lezione sull’igiene al malato, si trovano di fronte all’immagine di come si fa l’igiene perianale!

Perché pensi che per una figura come quella dell’OSS… sia necessario un diploma di istruzione secondaria superiore?

Gli OSS, per l’intenzione con cui la loro figura è nata, sono una vera e propria ‘manna dal cielo’ per gli infermieri; che, grazie al loro supporto, possono finalmente dedicarsi a ciò che realmente compete loro (e che, ad esempio, non sono le mansioni domestico alberghiere!).

Ma spesso mi domando: quante, tra le persone che formo, saranno davvero in grado di gestire un mestiere del genere? In quanti saranno realmente capaci di elevare la loro cultura (troppo spesso scarsa e lontana da qualsiasi competenza sanitaria) ad un livello accettabile, così da poter assistere con dignità i loro pazienti?

Vista la sempre più numerosa presenza di OSS nelle strutture… non sarebbe ragionevole pensare di imporre l’obbligo di diploma di scuola superiore per accedere a questi corsi?

E soprattutto… non sarebbe il caso di uniformare a livello nazionale la formazione degli OSS, di aggiornare con una vera legge la Conferenza Stato/Regione del 22 febbraio 2001, lasciando sempre alle regioni e agli enti privati la formazione, ma stabilendo per tutti delle regole comuni?

Io ho insegnato in diverse regioni, ora forse posso dire di trovarmi in una realtà dove questo percorso si fa con più serietà; ma devo dire che in altre parti della penisola ho avuto il forte dubbio che molti candidati OSS si stessero comprando, in qualche modo, il titolo.

Hai posto dei quesiti interessanti e hai denunciato alcune delle dinamiche che, di fatto, inchiodano gli infermieri ancora all’anno zero, per quanto riguarda riconoscimento e crescita professionale. Ma vuoi rimanere anonima…

Sono costretta a farlo. In questo mondo, quello della formazione, io ci lavoro; se mi firmassi, sarebbe come dire ai miei datori di lavoro: “Ma che cavolo di gente reclutate per questi corsi?! incompetenti!”. Non posso permettermelo, purtroppo. Non posso rischiare di perdere il lavoro.

Alessio Biondino

Redazione Nurse Times

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