Violenza a danno degli operatori sanitari: il libro di Marina Cannavò sviscera l’odioso fenomeno

Ne abbiamo parlato con l’autrice, che ci ha spiegato come sia possibile prevenire e gestisce la rabbia da cui derivano le sempre più frequenti aggressioni in corsia.

L’Oms ha definito la violenza “il più importante fattore di rischio per la salute degli operatori sanitari”. Purtroppo si tratta di una problematica sempre attuale, pertanto meritevole di approfondimento. Proprio con questo intento Marina Cannavò, dirigente medico, psichiatra e psicoterapeuta, ha dato alle stampe il volume intitolato Stop alla violenza a danno degli operatori della salute – Prevenire e gestire la violenza sul lavoro (Società Editrice Universo), che vede la prefazione di Filippo Anelli, presidente Fnomceo, e la postfazione di Giuseppe La Torre, professore di Medicina del lavoro alla Sapienza Università di Roma.

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Da noi contattata, l’autrice ha esposto le ragioni che l’hanno spinta a indagare il fenomeno: «Quello del contrasto alla violenza sugli operatori sanitari è un impegno che porto avanti da tempo. Vi ho dedicato il mio dottorato alla Sapienza in ambito psichiatrico, e persino una proposta di legge. Negli ultimi anni qualcosa si è mosso. Pensiamo all’istituzione della Giornata nazionale a tema, ma anche all’approvazione di una legge che ha introdotto pene più severe per gli aggressori. Ma questo non basta. Servono interventi mirati a garantire una maggior tutela legale, un’assicurazione contro i danni, un’indennità di rischio violenza, solo per fare qualche esempio. Insomma, c’è ancora tanto da fare, e il mio libro vuole rappresentare un contributo in tal senso».

Ma quali sono le origini del male? Cosa genera quella rabbia che porta certi pazienti, ma pure i loro amici e parenti, a scagliarsi contro il personale sanitario? «La rabbia – spiega la dottoressa Cannavò – è un fenomeno sociale. Viviamo, cioè, in una società violenta. Partendo da questo presupposto, posso dire che un motivo scatenante della rabbia e delle conseguenti aggressioni è rappresentato dall’ingiustificata sfiducia verso gli operatori sanitari, ai quali spesso si attribuisce la responsabilità di problemi organizzativi e strutturali, che invece non dipendono da loro. Ad alimentare la rabbia sociale contribuiscono poi fattori come la disoccupazione, le ristrettezze economiche, i disagi familiari, l’incertezza sul futuro. E adesso ci si è messo pure il Covid, che ha esasperato ulteriormente gli animi».

Dalle cause agli effetti il passo è breve. La violenza provoca spesso conseguenze nefaste per la salute mentale, oltre che fisica, delle vittime. «Gli operatori – conferma l’esperta – sono già soggetti a rischio per via, ad esempio, della carenza di personale e del sovraccarico di lavoro che ne deriva. Se a ciò si aggiunge il timore per l’incolumità personale, ecco che vanno incontro al cosiddetto burnout, sviluppando stress, ansia, depressione e altre patologie psichiatriche, cui possono associarsi stili di vita disfunzionali, come mangiare e fumare di più. Molte vittime di aggressioni, inoltre, non chiedono aiuto agli specialisti, preferendo assumere antidepressivi senza previo consulto. Una scelta sbagliata, ma talvolta dovuta all’insensibilità dei colleghi. Conosco una dottoressa che, dopo aver subito il trauma di un’aggressione, si è chiusa a riccio perché gli altri medici, anziché darle supporto, hanno ironizzato su quanto le era accaduto. Inutile dire che tutto ciò si ripercuote sulla qualità dell’assistenza, e quindi va a discapito dei cittadini bisognosi di cure».

Il sottotitolo del libro scritto dalla dottoressa Cannavò fa riferimento alla prevenzione e alla gestione. Ma come si previene e si gestisce la violenza sul lavoro? «La prevenzione passa per la formazione. È molto importante che gli operatori sanitari, ma anche i vigilanti, imparino a riconoscere i micro-segnali di quella rabbia che poi sfocia in violenza. In questo modo è possibile capire come comportarsi, magari ricorrendo a forme di comunicazione verbale in grado di scongiurare eventuali aggressioni. La gestione dei danni psicologici derivanti da una violenza subita, poi, andrebbe affidata ad appositi centri di cura, che in molti Paesi esteri esistono, mentre l’Italia ne è ancora sprovvista. Lo stress è un nemico terribile e va preso per tempo. Altrimenti rischia di diventare cronico».

Redazione Nurse Times

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